Dove c’è oscurità arrivano le Schegge di luce

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Prima di esporre i contenuti di questo articolo ci tenevo a ringraziare Daniela D’Alessandro, che dopo aver notato i miei articoli su Opposto.org mi ha invitato a scrivere per Nova Gulp, e Matteo Filicetti per avermi accolto.

I saggi su Tolkien imprescindibili sono: La via per la Terra di Mezzo di Tom Shippey, Il fabbro di Oxford di Wu Ming 4, Santi pagani della Terra di Mezzo di Claudio Antonio Testi e Schegge di luce – Logos e linguaggio nel mondo di Tolkien di Verlyn Flieger. Quest’ultimo sarà il tema qui di seguito discusso.

 

Verlyn Flieger
Verlyn Flieger

 

Verlyn Flieger è Professoressa emerita di mitologia e di letteratura medievale all’Istituto di Anglistica dell’Università del Maryland. Schegge di luce, scritto nel 1983 con il titolo originale Splintered light, è stato pubblicato in Italia per la prima volta da Marietti 1820 nel 2007, per poi essere ripubblicato nel Maggio 2024. Gli altri scritti della stessa autrice ancora inediti in Italia – che speriamo vengano pubblicati al più presto – sono:

  • A question of time (1998);
  • Tolkien’s Legendarium: Essays on the history of Middle-earth (2000);
  • Interrupted music: The making of Tolkien’s mithology (2005);
  • Green Suns and Faerie: Essay on J.R.R. Tolkien (2012);
  • There would always be a Fairytale: More essay on Tolkien (2019);

 

Questo articolo non vuole essere una recensione del libro, ma una breve riflessione sul contenuto, partendo da alcuni elementi degni di nota.

 

Linguaggio

Un elemento che appassiona tutti i tolkieniani e che approfondendo questo autore non si può non considerare è il linguaggio. Del resto, anche la Flieger ce lo dice chiaramente: «Chi entra nel mondo di Tolkien e ne respira l’aria […] deve essere per forza interessato alle sue lingue, che se ne renda conto o meno» (pag. 125).

Schegge di luce ci concede una straordinaria spiegazione di come si è sviluppato, da parte di Tolkien, quel linguaggio che ha dato respiro al suo mondo. E quando parliamo di linguaggio non possiamo non menzionare Owen Barfield, il cui ruolo è stato fondamentale nella creazione degli universi tolkieniani e lewisiani.

 

Teoria di Barfield

Verlyn Flieger
Owen Barfield

 

Owen Barfield, nato a Londra il 9 Novembre 1898, è considerato uno degli Inklings. Pur non avendo avuto la possibilità di essere presente a tutte le serate, a differenza del professore di Oxford che partecipava regolarmente, è talmente importante da essere definito “il primo e ultimo” del gruppo. Dopo aver condotto studi umanistici si avviò alla professione di avvocato, curando privatamente la sua passione per la letteratura e per la filosofia del linguaggio.

Costui è noto per aver scritto “Poetic Diction: a study in meaning” nel 1928, testo in cui esplora l’evoluzione del linguaggio e il ruolo della poesia, spiegando che i linguaggi/miti riflettono l’evoluzione della coscienza umana e il modo in cui vediamo il mondo.

Cerco di spiegare in maniera semplice in cosa consisteva la sua teoria, in tre fasi.

 

Prima fase

In antichità, una parola poteva avere più significati. Nel libro, la Flieger prende come esempio la parola greca pneuma e la parola latina spiritus: ciascuna di esse, originariamente, esprimeva un concetto in cui vento, respiro e spirito erano percepiti come un unico fenomeno. Questo perché i nostri antenati avevano una visione del mondo più unitaria, senza distinguere nettamente tra realtà materiale e spirituale.

 

Seconda fase

Con il passare del tempo si è verificata una frammentazione dell’unità originaria del linguaggio. Man mano che la nostra percezione è diventata più analitica, abbiamo iniziato a distinguere concetti che un tempo erano percepiti come uniti. Un esempio efficace, come osserva acutamente Claudio Antonio Testi, è: «Proprio come avviene quando la luce bianca attraversa un prisma e si scompone nei suoi elementi.»

 

Terza fase

Ricomposizione delle parti distinte in nuove unità semantiche. In pratica, le parole e gli aggettivi vengono riempiti di nuovi significati. Ad esempio, nel Saggio sulle fiabe, Tolkien spiegava che quando si scrive si ha il potere di un mago, che prendendo il verde dall’erba e il blu dal cielo si può creare il sole verde: quella che chiamava subcreazione, ovvero la creazione di un mondo secondario.

Dunque perché è così importante la teoria di Barfield? Perché è grazie ad essa che Tolkien ha potuto scrivere le sue opere. La lettura di Poetic Diction spinse il Professore a ripensare il linguaggio come intreccio indissolubile di coscienza, mito e parola, dando forma alla sua mitologia.
Nel suo universo mito, lingua e umanità esistono solo in reciproca relazione e interdipendenza.

 

Frammentazione di luce e parola nel Silmarillion

 

Verlyn Flieger Schegge di luce

 

Tutto ciò che ho provato a riassumere lo si trova nella sua opera più importante Il Silmarillion, pubblicato dal figlio Christopher Tolkien nel 1977.

Perché questo libro è così importante? Perché racconta le storie prima de Il Signore degli anelli, ovvero la creazione del mondo (Ainulindalë), la Prima Era, la Seconda Era (Akallabêth o La Caduta di Númenor) e la Terza Era (Degli Anelli del Potere). Qui ci tengo a dire questo: l’opera non è da equivocare con un Antico Testamento scritto in chiave fantasy. Lo stesso Tolkien nella Lettera 165 indirizzata alla Houghton Mifflin Co. dice:

«L’unica critica che mi ha dato fastidio è quella per cui “non contiene religione” (e “niente donne”, ma questa non conta e comunque non è vera). È un mondo monoteista di “teologia naturale”. Lo strano fatto che non ci siano chiese, templi o riti religiosi e cerimonie, si deve semplicemente al clima storico descritto. La cosa sarà sufficientemente spiegata se (come ora sembra probabile) il Silmarillion e le altre leggende della Prima e della Seconda Era saranno pubblicate. In ogni caso io sono cristiano, ma la “Terza Era” non era un mondo cristiano» (J.R.R. Tolkien Lettere 1914/1973, Bompiani ed. 2018, pag. 349).

 

Non è mia intenzione approfondire più di tanto l’argomento, ma sappiate che chi vi scrive è un cattolico e afferma che il cristianesimo in Tolkien lo si trova in profondità e dove le persone non lo cercano; inoltre quando si legge il Professore bisogna tenere a mente che non era un amante delle allegorie. Detto questo, la Flieger nel suo saggio ci dice con grande maestria che Il Silmarillion è una storia che parte da un più per progredire verso un meno.

Quando i Valar entrarono nel mondo si ebbe la luce piena, formata da due lampade: Illuin e Ormal. Successivamente distrutte da Melkor/Morgoth, non sarà più possibile ricrearle. Dalle lacrime di Nienna e dal canto di Yavanna nasceranno i due alberi Telperion (emana una luce argentea) e Laurelin (emana una luce dorata), la cui sua luminosità si alternerà ogni 7 ore in modo da illuminare Valinor. Tuttavia la luce sarà minore; se le due lampade illuminavano tutta Arda, le due piante solo una parte e nella Terra di Mezzo rimarrà il buio.

Andando avanti nella storia Morgoth (l’oscuro signore della Prima Era), con l’aiuto del mostruoso ragno Ungoliant, distruggerà i due alberi di Valinor, di cui, però, sopravvivranno un ultimo fiore da Telperion e un ultimo frutto da Laurelin. Da questi si formeranno il sole e la luna che illumineranno il mondo, ma la loro luce è un meno rispetto ai due alberi, perché, come riporta la Flieger alla Lettera 131 del Professore, “la luce del Sole (o della Luna) fu tratta da quella Alberi solo dopo che questi furono macchiati dal Male”.

Questa stessa frammentazione che Tolkien usa nel Silmarillion, la troviamo anche nel linguaggio.

La Flieger spiega che quando gli elfi, i primogeniti, secondo il volere di Ilúvatar si risvegliarono nella Terra di Mezzo e guardarono verso il cielo, la prima cosa che videro furono le stelle. E la prima parola che dissero fu “Ele“ che significa “Guarda”. Inoltre, l’autrice ci dice:

«è da notare come la realtà sia qui legata alla percezione e come si è resa esplicita la distinzione tra la Parola e le parole. La parola originaria era la Musica, resa reale dal primo imperativo “Eä! Vengano queste cose all’ Essere!” (Ainulindalë, p.37). Sia la musica che “Eä! precedono, anzi determinano, la percezione degli elfi. Tuttavia, secondo la “leggenda elfica”, ovvero dal punto di vista degli elfi, necessariamente limitato alla loro esperienza diretta, la prima parola è “ele”. Questa, la loro prima percezione, è anche l’agente della separazione, che divide coloro che vedono da coloro che sono visti e al contempo caratterizza coloro che vedono in base a ciò che percepiscono.» (pag. 126)

Dalla frammentazione di luce si noterà anche la frammentazione tra i popoli degli elfi: Calaquendi, Moriquendi, Vanyar, Sindar, Noldor e Teleri.

 

Un altro esempio di frammentazione, quindi schegge di luce, sono i Silmaril, i tre gioielli creati dall’elfo Fëanor, usando la luce dei due Alberi. Dopo la loro distruzione, i gioielli saranno causa di tragedia per sua la stirpe. Innamorandosi troppo delle sue creazioni, Fëanor rifiuterà di consegnarle ai Valar per rigenerare gli Alberi, perché i Silmaril contenevano la luce sacra degli Alberi.

Alla fine, i Silmaril si perderanno: uno finirà in profondità della terra, un altro in profondità del mare. L’unico gioiello rimasto lo porta Eärendil (padre di Elrond) sul suo vascello, diventando una stella dopo aver navigato fino a Valinor per chiedere perdono e aiuto ai Valar, per tutti gli elfi e gli uomini oppressi da Morgoth. “La stella di Eärendil” chiamata dagli elfi Gil-Estel, Stella dell’Alta Speranza, e come è scritto nel Silmarillion: “E gli Elfi volgendo lo sguardo all’insù, più non disperavano…” (IS, pag. 450).

Se ve lo state chiedendo, sì, è la stella la cui luce Galadriel metterà nella fiala che donerà a Frodo.

 

Elfi e uomini si incrociano

L’altro punto a mio avviso affascinante di Schegge di luce è quello riguardante l’incontro tra elfi e uomini. Gli elfi, voltano le spalle alla luce del paese beato e vanno verso la Terra di Mezzo che è oscura (nel senso letterale), quindi a est. Mentre gli uomini, non avendo mai visto la luce degli Alberi, si risvegliano con quella del sole e della luna, desiderando (inconsapevolmente) di andare a ovest. Uno degli episodi che la Flieger prende in considerazione nel capitolo “Luce dall’oscurità (da pag. 177 a 186) è nella Caduta di Gondolin. Il protagonista, Tuor, affronta un viaggio guidato a sua insaputa dal Vala Ulmo, verso il regno nascosto di Gondolin.

Tuor non è consapevole del suo tragitto e crede di seguire un suo impulso, dirigendosi a ovest. Il terzo giorno di viaggio accade un imprevisto: il ruscello che aveva seguito improvvisamente scompare sotto i suoi piedi. Dopo essersi sentito frustrato e disperato, Tuor interrompe il cammino al calare dell’oscurità.  Il giorno dopo incontra due elfi, Gelmir e Arminas, e dice loro di aver seguito la sorgente, ma questa è sparita e lui si è smarrito nell’oscurità. Gelmir gli risponde che attraverso l’oscurità si arriva alla luce (vi ricorda qualcosa questa frase?); vedremo che i due elfi accompagneranno Tuor e gli mostreranno la strada da intraprendere, ma poi si dovranno fermare, e Tuor dovrà intraprendere il cammino da solo per svolgere la sua missione.

Quindi possiamo dire che, ne Il Silmarillion, gli elfi mostrano agli uomini la strada da seguire, tuttavia questi ultimi dovranno percorrere da soli il cammino verso la luce. Ora, sulla serie Rings of Power targata Amazon è già stato detto tanto, ma voglio sottolineare solamente questo: la frase di Finrod “A volte, per trovare la luce, dobbiamo prima toccare l’oscurità” è in un certo senso giusta, però nel legendarium è in relazione nell’incontro tra elfi e uomini, per quanto riguarda l’oscurità e la luce.

 

Verlyn Flieger Schegge di luce

 

Personali riflessioni

Leggendo e scrivendo su questo saggio, riflettevo sulla storia del Silmarillion: non è solo la storia della creazione di un mondo, di popoli, grandi gesta e battaglie mitiche. Se si legge meglio osserviamo quello che diceva il Professore di Oxford nella Lettera 131 indirizzata a Milton Waldman: “In ogni modo tutto questo materiale riguarda soprattutto la Caduta, la Mortalità e la Macchina” (ed. Bompiani pag. 231). Quindi parla anche di quando tutto sembra perduto, ma ecco che arriva la speranza! Come osserva, appunto, Verlyn Flieger acutamente nel suo saggio.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, le cadute e le schegge di luce accadono anche a noi. Quante volte nella nostra vita o in quella di chi conosciamo, esistono situazioni di smarrimento, dolore e incertezza in cui sembra non esserci più speranza e ci si lascia andare alla disperazione. All’improvviso, tuttavia, l’arrivo di una persona amata o amica, un elemento, un gesto, un ricordo o un simbolo portano una luce di speranza e indicano la strada da percorrere.

Se nel nostro mondo la luce è metaforica, nel legendarium tolkieniano è fisica, spirituale e simbolica allo stesso tempo. È reale e carica di significato. La luce dei Silmaril, degli alberi di Valinor, del Sole e della Luna, delle stelle viste dagli Elfi al loro risveglio raccontano una verità più profonda, e ci parlano anche di noi. Tolkien ci ricorda che attraverso l’oscurità si può giungere alla luce, ma non senza fatica. Il cammino – come per Tuor, per Frodo, per gli Uomini della Terra di Mezzo – è sempre personale. La luce può esserci indicata da altri, ma spetta a noi raggiungerla.

Con questo spero di avervi messo un pochino di curiosità a leggere questo meraviglioso scritto. Se non ci sono riuscito pazienza! Ci ho provato. Se ci sono riuscito mi piacerebbe parlarne con voi alla modalità hobbit: una bella pinta di birra e una bella pipa per poter fare anelli di fumo.