Nel cinema esiste una categoria non ufficiale chiamata “Lettere d’amore al Cinema”, che riunisce tutte quelle pellicole che omaggiano, in maniera chiara e diretta, la Settima Arte. Non basta il protagonista in sala a vedere il suo film del cuore, bisogna andare oltre e scavare nel processo di nascita dello stesso, tra crisi e lisi.
Ho raccolto qui le migliori cinque pellicole che assurgono a questo compito seguendo, più che le mie preferenze, l’ordine cronologico. Se dovessi stilare una classifica dal migliore al peggiore, farei davvero fatica perché, da Giuseppe Tornatore a Damien Chazelle, ognuno è meritevole del podio per la passione infusa nella realizzazione e per il forte messaggio veicolato. Con esito positivo.
I paragrafi constano di trama dettagliata e recensione per offrire una panoramica che sia il più esaustiva possibile, e capire quanto anche chi ha fallito al botteghino meriti il suo posto in questo articolo, con un approfondimento finale sul passaggio dal muto al sonoro che, come si vedrà, sarà fondativo.
E per alleggerire la lettura, mi sono permessa di disseminare qualche curiosità (o dare la parola ai registi) circa le produzioni cinematografiche prese in oggetto. Conscia di non tediarvi, ma invitarvi a recuperare qualche film perduto per strada, non mi resta, quindi, che augurarvi buon viaggio (con andata e ritorno per parlarne) sulla Luna.
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Indice
ToggleNuovo Cinema Paradiso
Scritto e diretto da Giuseppe Tornatore nel 1988, con Philippe Noiret e Salvatore Cascio.
Sinossi
L’infanzia di Totò
Il film inizia con Salvatore che riceve la notizia della morte di Alfredo e, tornando con la mente al passato, ripercorre la sua infanzia tra le vie del fittizio Giancaldo e, soprattutto, nel Cinema Paradiso. Alfredo il proiezionista (ispirato al fotografo Mimmo Pintacuda, amico e maestro del regista) era un uomo burbero, ma dal cuore d’oro. Inizialmente scaccia il ragazzino, ma poi, rendendosi conto della sua passione, gli si affeziona e gli permette di entrare nella cabina di proiezione dove lavora da tempo.
Un elemento ricorrente è la figura del parroco Adelfio (ispirato a Don Carmelo Buttitta, gestore del cinema parrocchiale della Chiesa del Santissimo Sepolcro di Bagheria) che, prima di ogni proiezione, taglia le scene ritenute scabrose o troppo sensuali per l’epoca. Le pellicole censurate finiscono in un secchio, ma vengono recuperate in gran segreto da Totò, che diventa inconsapevolmente il custode di un archivio proibito.
Un giorno il Cinema Paradiso prende fuoco e Alfredo, cercando di salvare il più possibile, rimane accecato dalle fiamme. Totò, dimostrando grande coraggio, riesce a salvarlo e l’evento consolida il loro legame: il bambino diventa l’assistente e gli occhi di Alfredo, che gli insegna il mestiere del proiezionista. Con la ricostruzione del cinema, Totò prende il posto di Alfredo, diventando il nuovo proiezionista del paese.
L’adolescenza e il primo amore
La trama si sposta sull’adolescenza del protagonista che incontra Elena Mendola, una ragazza benestante appena arrivata in paese. Totò si innamora perdutamente di lei e fa di tutto per conquistarla, aspettandola ogni sera davanti alla sua villa. Dopo un lungo corteggiamento, i due iniziano una relazione, ma il loro amore è contrastato dalla famiglia di lei, che non accetta che la figlia frequenti un proiezionista di classe sociale inferiore.
Quando la ragazza parte per l’Università, Totò aspetta invano che torni o che gli scriva. Alfredo, che ha sempre vegliato su di lui, vede il suo dolore e lo esorta a lasciare il paese per inseguire i suoi sogni. Gli dirà:
“Non tornare mai più. Non pensarci mai. Non scrivere mai. Non ti voltare mai. Non ti far fregare dalla nostalgia. Dimenticami, dimentica tutti, dimentica il paese. E se un giorno tornerai, ti accorgerai che niente è cambiato, ma sarai tu ad essere diverso”
Questo è il momento decisivo in cui Totò decide di partire per Roma, con il cuore spezzato per l’addio a Elena e per il distacco dalla sua terra e dal suo mentore.
Il ritorno
Il film torna al presente. Salvatore Di Vita è ormai un regista affermato. Torna a Giancaldo per i funerali di Alfredo, ma trova un paese che non riconosce più. Il Cinema Paradiso è ormai un rudere e sta per essere abbattuto per fare spazio a un parcheggio.
Salvatore ritrova i vecchi amici e la sua famiglia, che gli consegnano una busta lasciata per lui da Alfredo. Dentro c’è un regalo, il lascito più prezioso che il vecchio amico poteva fargli: le vecchie pellicole che Alfredo aveva conservato per lui. Ma non sono pellicole qualsiasi, sono i baci e le scene d’amore che il parroco aveva censurato, montati insieme in un unico, lunghissimo film.
Salvatore si siede in una sala di proiezione e mentre rivede tutte quelle scene d’amore piange commosso. Si rende conto che il suo mentore non solo gli ha insegnato un lavoro, ma gli ha anche lasciato un tesoro inestimabile: il ricordo di un tempo in cui l’amore era puro e il cinema era magia. Questa scena finale meravigliosa è un’ode alla memoria, alla nostalgia e alla forza dei legami.
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Dentro il film
La nostalgia
Il lavoro di Giuseppe Tornatore rappresenta il viaggio nella nostalgia, non in senso malinconico, perché si tratta di una nostalgia attiva che celebra il passato come fondamento del presente. Il protagonista, Salvatore Totò Di Vita, rivive gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza passati in un tempo e in un luogo in cui il cinema era l’unico portale verso il mondo esterno, oltre che un posto magico dove la comunità si riuniva. La riscoperta della memoria collettiva e personale è uno dei motivi per cui il film si fa così toccante e universale.
La catarsi
Al centro di Nuovo Cinema Paradiso c’è l’amore incondizionato per il cinema. La sala cinematografica non è solo un luogo di intrattenimento, ma diventa una specie di santuario, un rifugio dalle difficoltà della vita. Le scene in cui Alfredo taglia e censura i baci dalle pellicole sono divertenti e malinconiche e simboleggiano la lotta tra l’innocenza e la realtà. In questo modo, il film suggerisce che il cinema abbia un potere catartico e sia capace di educare, far sognare e far guarire le ferite dell’anima.
Il sacrificio
Un altro tema centrale è il sacrificio. Il rapporto fra Totò e Alfredo è un legame paterno, un passaggio di testimone nel mestiere del proiezionista e di una vera e propria filosofia di vita. Alfredo spinge Totò a lasciare il paese per inseguire i propri sogni, sapendo che il suo destino è lontano da lì. Questa scelta, apparentemente crudele, è in realtà il più grande atto d’amore e sacrificio del padre, un modo per dare al ragazzo la possibilità di un futuro migliore, anche a costo di una separazione dolorosa. Si riflette così sul destino, sulle scelte che ci plasmano e sulle persone che ci aiutano a diventare chi siamo.
Un finale indimenticabile
La sequenza finale di Nuovo Cinema Paradiso è iconica e di una bellezza straziante (tanto da ispirare Tornatore stesso a pubblicare il libro Il collezionista di baci). Totò, ormai adulto e famoso regista, riceve in eredità da Alfredo un’ultima bobina. Guardandola, scopre che contiene tutti i baci censurati nel corso degli anni, un montaggio che diventa il testamento spirituale di Alfredo. Tale finale, non solo celebra il potere del cinema di preservare i ricordi, ma funge anche da potente promemoria del fatto che le persone che amiamo non ci lasciano mai veramente, ma vivono attraverso le lezioni e i doni che ci hanno lasciato.
Curiosità
– Il paese in cui è ambientata la storia di Totò deve il suo nome al monte che sovrasta la città natale del regista, Bagheria; l’attenzione alla storia della Sicilia è evidente anche nel riferimento letterario al Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa quando, prima di partire per Roma, si dice che i siciliani devono abbandonare la propria terra prima dei sedici anni, perché dopo tutti i difetti son formati e la crosta è sedimentata.
– Uno dei baci rubati e proibiti avrebbe dovuto essere quello tra Orson Welles e Rita Hayworth ne La Signora di Shangai (1947), ma due secondi di estratto ammontavano a 700.000 dollari. Un prezzo troppo alto anche per un capolavoro come Nuovo Cinema Paradiso. E sempre in tema di frame, Tornatore avrebbe inserito Federico Fellini (al posto di se stesso) come proiezionista della sequenza finale, se il riminese non avesse rifiutato.
– Con quasi tre ore di montato, il film fu un flop al botteghino e venne ritirato dai cinema, oltre che essere accorciato prima di mezz’ora, poi di un’ora. A farne le spese fu l’attrice Brigitte Fossey, le cui parti da Elena adulta vennero completamente cancellate. In seguito invitato al Festival di Berlino, non vi arrivò mai, a causa di un’infelice uscita del direttore, ma questo bastò ad aprire le porte per Cannes, dove vinse il Premio della Giuria. Da lì all’Oscar del 1990 e ai cinque Bafta Awards il passo fu davvero breve.
Hugo Cabret
Diretto da Martin Scorsese nel 2011, con Chloë Grace Moretz, Asa Butterfield, Ben Kingsley, Jude Law, Sacha Baron Cohen e Christopher Lee.
Sinossi
Il mistero dell’automa
Hugo Cabret vive nascosto tra gli ingranaggi e i passaggi segreti della stazione. La sua unica eredità dal padre è una sorta di uomo meccanico con la capacità di scrivere e disegnare che, purtroppo, non funziona. Il ragazzo è convinto che l’automa contenga un messaggio del padre e passa le sue giornate a tentare di ripararlo, rubando ingranaggi e pezzi di ricambio dai negozi della stazione.
Le sue attenzioni si concentrano in particolare sul chiosco di giocattoli gestito da un anziano e burbero signore, Georges. Un giorno Hugo viene colto in flagrante mentre ruba un topo giocattolo e Georges gli confisca il quaderno di appunti e disegni dell’automa.
Isabelle
Hugo, disperato, segue Georges fino a casa sua e incontra la sua nipote adottiva, Isabelle, un’appassionata lettrice che come il giovane si sente un po’ sola. I due ragazzi stringono amicizia e Hugo scopre che Isabelle ha un ciondolo a forma di chiave che potrebbe essere l’ingranaggio segreto per far funzionare l’automa. Dopo averla convinta, i due si mettono al lavoro per riparare il misterioso meccanismo.
Quando l’automa prende vita, non scrive, ma disegna l’immagine di una luna con un razzo conficcato nell’occhio e con in calce, una firma: Georges Méliès. I ragazzi capiscono che il burbero giocattolaio non è altri che il leggendario regista, pioniere del cinema, creduto morto da tempo.
Il passato di Méliès
La trama si sposta ora sul passato di Méliès. Hugo e Isabelle scoprono che dopo il successo, ha perso tutto a causa della guerra e del cambio di gusti del pubblico. Disilluso, ha distrutto gran parte delle sue pellicole e si è ritirato, abbandonando completamente il cinema. L’automa era l’invenzione meccanica con cui avrebbe voluto unire la sua passione per la magia e per il cinema.
I ragazzi cercano di far rivivere l’anziano artista, mostrando le sue invenzioni e le sue pellicole a René Tabard, un esperto di cinema. Inizialmente Méliès è furioso, non volendo rivangare un passato che lo ha deluso, ma vedendo le sue vecchie pellicole scopre che l’amore per il cinema è ancora vivo in lui.
Il finale
Il film si conclude con la riabilitazione di Méliès: Tabard, impressionato dalla sua opera, organizza una serata in suo onore. Il regista ritrova la sua dignità e il suo posto nel mondo e il pubblico ne celebra il gran ritorno. Anche Hugo, finalmente, comprende il suo scopo nella vita: non è più un altro orfano nel mondo, ma un orologiaio che ha una famiglia con cui intravede un futuro.
Dentro il film
Ode alla Settima Arte
Il film fa rivivere la bellezza e il potere del cinema muto in un’era dominata dagli effetti speciali digitali. Attraverso gli occhi di Hugo, il pubblico riscopre la meraviglia di una pellicola che prende vita, un’arte che è tanto tecnica quanto sognatrice. La sua importanza risiede anche nel mostrare l’evoluzione del cinema, dai suoi artigianali natali fino a diventare una forma d’arte complessa e stratificata.
Il restauro cinematografico
Al di là della trama, il film affronta il tema cruciale del restauro cinematografico e della conservazione della memoria storica. La ricerca di Hugo per riparare l’automa è una metafora della necessità di recuperare e preservare i vecchi film, spesso dimenticati o trascurati, perché ogni pellicola ha la sua storia e il suo valore inestimabili, e la loro perdita è un danno per l’intera umanità.
La missione di Scorsese
Per Martin Scorsese, Hugo Cabret è stato una missione. Da sempre impegnato nella conservazione del patrimonio cinematografico attraverso la sua Film Foundation, ha utilizzato questa pellicola per educare il pubblico più giovane sull’importanza della storia del cinema. Il film dimostra che un’opera d’arte può essere allo stesso tempo divertente, toccante e incredibilmente istruttiva. È un esempio perfetto di come l’intrattenimento possa essere uno strumento che celebri la cultura e l’arte.
Curiosità
– Hugo Cabret si ispira al libro che Francesca Scorsese regalò al padre per convincerlo a trasporlo sul grande schermo, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick (2007); un libro dalla narrazione mista perché mescola prosa a immagini. Affascinato da tale sperimentalismo, il regista ha realizzato la pellicola con un 3D così tecnicamente ben fatto, da suscitare lo sgomento di James Cameron.
– Quando Hugo sogna di essere travolto da un treno che, deragliando attraversa la Gare du Montparnasse, sfonda il muro esterno e resta sospeso sulla strada, ci si sta riferendo a un fatto realmente accaduto nella medesima stazione nel 1895. E restando in ambito ferroviario, la scena del treno che sembra travolgere il pubblico è un chiaro omaggio a L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat dei Fratelli Lumière (1896).
– Costato 170 milioni di dollari, ne ha incassati 186, ma ha portato a casa cinque statuette per fotografia, scenografia, sonoro, montaggio sonoro ed effetti visivi.
The Artist
Scritto e diretto da Michel Hazanavicius nel 2011, con Jean Dujardin, Bérénice Bejo e John Goodman.
Sinossi
Atto I: L’età d’oro del muto
La storia inizia a Hollywood nel 1927, all’apice del cinema muto. George Valentin è una delle star più celebrate e amate dell’epoca. Un divo carismatico, con un’espressione magnetica e un fedele compagno di scena: il suo vivace Jack Russell Terrier.
Dopo la première del suo ultimo film, la folla lo acclama e incontra per la prima volta Peppy Miller, una giovane aspirante attrice che, inciampando, finisce tra le sue braccia. La foto che li ritrae insieme finisce sui giornali, lanciando la carriera della diva. George, con un misto di arroganza e affetto, la aiuta a ottenere un piccolo ruolo come ballerina in un suo film. La loro intesa sul set è evidente, ma il sonoro è alle porte e sta per cambiare per sempre il mondo del cinema.
Atto II: Il sonoro e il declino
Nel 1929 lo studio cinematografico Kinograph Pictures decide di puntare tutto sull’innovazione e il dirigente Al Zimmer propone a George di girare un film parlato. L’attore, convinto che il sonoro sia una moda passeggera che rovinerà la magia del muto, rifiuta sdegnosamente, si mette in proprio e produce un ultimo film muto, Tears of Love, convinto che il pubblico gli rimarrà fedele.
Nel frattempo la carriera di Peppy Miller decolla. I suoi musical e le sue commedie sonore sono di un successo travolgente. Con il crollo della borsa del 1929 e l’inaspettato flop di Tears of Love, la stella di George Valentin inizia a spegnersi e, nonostante la sua fama passata, si ritrova sommerso dai debiti, inizia a bere, si isola dalla moglie e licenzia il suo fedele autista. La sua vita si disgrega.
Atto III: La caduta e la rinascita
George è costretto a vendere all’asta tutti i suoi averi, inclusa la sua lussuosa casa. L’unica cosa che non può vendere è l’orgoglio. Un giorno, in preda alla disperazione, brucia le sue vecchie pellicole. Il fuoco si propaga, distruggendo tutto. Viene salvato appena in tempo dal suo cane, che corre a chiedere aiuto a un poliziotto.
Quando Peppy Miller scopre l’accaduto, si precipita in ospedale dove George è ricoverato per le ustioni e lo porta a casa sua. A questo punto si scopre che l’attrice aveva comprato all’asta tutti gli oggetti di George per salvarli dalla distruzione. La loro relazione, a lungo ostacolata dall’orgoglio di George e dalle circostanze, può finalmente fiorire.
Per salvare la sua carriera e il suo amico, Peppy chiede ad Al Zimmer di dare a George una nuova opportunità per girare un musical insieme, anche se l’attore è riluttante. Dopo aver capito che per lui si tratta dell’ultima possibilità, la telecamera si allontana e sentiamo per la prima volta la sua voce che dice: “Con me non si scherza, non è vero?”.
Dentro il film
Omaggio al muto
The Artist è un film così importante e significativo per la decisione di essere girato quasi interamente in bianco e nero e, soprattutto, senza dialoghi. Il regista Michel Hazanavicius ha avuto il coraggio di scommettere sul potere delle immagini, delle espressioni e della musica, trasportandoci direttamente nell’epoca d’oro di Hollywood, quando le storie venivano narrate con il linguaggio universale del corpo e degli sguardi.
La colonna sonora
Senza le parole, l’attenzione dello spettatore si sposta sulla recitazione e sulla colonna sonora. Jean Dujardin riesce a comunicare una vasta gamma di emozioni – gioia, arroganza, disperazione e redenzione – con il solo uso del volto e del linguaggio del corpo. I suoi movimenti esagerati e teatrali sono un omaggio ai grandi attori del cinema muto come Charlie Chaplin e Buster Keaton.
Allo stesso modo, la colonna sonora di Ludovic Bource non si limita a fare da sottofondo, ma diventa un vero e proprio personaggio, una voce narrante che guida le emozioni dei protagonisti e degli spettatori.
Emozionare in silenzio
Tale lingua rende la storia accessibile a chiunque, rendendo il film una narrazione sul cambiamento, sulla difficoltà di adattarsi alla moda e alle innovazioni, sul prezzo della fama e sulla speranza che risiede nell’accettazione del nuovo.
È un’opera che dimostra come il cinema, nella sua forma più pura, possa diventare esperienza sensoriale e intellettuale che va oltre il semplice intrattenimento
Oltre le curiosità: la parola ad Hazanavicius
Girare un film muto e in bianco e nero, che desse libertà creativa allo spettatore e rendesse la presenza del regista meno evidente, è sempre stato il sogno del francese che, però, ha faticato per ottenere i fondi necessari alla realizzazione, dal momento che la scelta era azzardata e rischiosa.
“Orson Welles diceva che il bianco e nero è il miglior amico degli attori. Nasconde ogni imperfezione e contribuisce, insieme al muto, a divinizzare l’attore”
Per Hazanavicius il muto è una forma di narrazione pura che ha raggiunto la perfezione con artisti del calibro di Charlie Chaplin. Quest’ultimo, di fatto, pur passando con riluttanza al sonoro con Il grande dittatore nel 1940, mantenne il suo Charlot nel silenzio (in Tempi moderni del 1931 usò il suono sincronizzato solo per enfatizzare i rumori della fabbrica e della voce del padrone in maniera ironica).
“Il sonoro sicuramente ci ha permesso di raccontare storie più complesse, ma si è persa l’utopia di un unico linguaggio cinematografico, valido universalmente”
The Fabelmans
Diretto, ideato, co-scritto e co-prodotto da Steven Spielberg nel 2022, con Tom Hanks, Michelle Williams, Paul Dano e una guest star di livello.
Sinossi
Gli inizi
Il film si apre nel 1952, con il piccolo Sammy Fabelman che, accompagnato dai genitori, si reca per la prima volta al cinema a vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Il bambino è terrorizzato e affascinato dalla potenza delle immagini proiettate sullo schermo, tanto da chiedere in regalo una cinepresa. In quel momento, scopre la magia del cinema come mezzo per controllare la realtà e darle un’altra direzione.
Sammy, incoraggiato dalla madre Mitzi, una talentuosa pianista che ha sacrificato la sua carriera per la famiglia, inizia a girare cortometraggi amatoriali in 8mm (coadiuvato dal direttore della fotografia Janusz Kaminski, Steven Spielberg ha riprodotto fedelmente i suoi primi girati, tra cui il cortometraggio di guerra Escape to Nowhere del 1961 e la ricostruzione del disastro ferroviario presente nel film di DeMille del ’52). Il padre Burt, un ingegnere informatico brillante ma pragmatico, lo considera un hobby, una distrazione, ma gli fornisce comunque l’attrezzatura necessaria. La dicotomia tra arte e scienza permea profondamente la vita del giovane.
Segreti di famiglia
La famiglia Fabelman si sposta più volte a causa del lavoro di Burt. Prima da Phoenix in Arizona, poi in California. Durante uno di questi traslochi, Sam continua a girare i suoi film, reclutando sorelle e amici. Un giorno, mentre rivede un filmato girato durante una gita in campeggio, Sam scopre che la madre ha una relazione con Bennie, il migliore amico e collega di lavoro di Burt.
Da questo momento, il cinema, che era stato un modo per creare mondi perfetti, diventa un mezzo per svelare la dura realtà. Sam si ritrova a dover gestire un peso enorme, il segreto della madre che ha scoperto grazie alla sua cinepresa. La tensione in famiglia aumenta e il rapporto tra i genitori diventa sempre più freddo e distante, fino a quando non decidono di divorziare.
La scoperta del Cinema
Sam si trasferisce in California con la madre e le sorelle, mentre il padre resta a Phoenix. Il ragazzo si scontra con il bullismo e l’antisemitismo a scuola, ma continua a rifugiarsi nel cinema. Usa la sua arte per raccontare la realtà e affrontarla. In una scena memorabile, gira un film per un Ditch Day scolastico in spiaggia, realizzando un’epica di guerra con i suoi compagni di classe e quando lo proietta, i suoi aguzzini si vedono in un modo inaspettato, come degli eroi, e Sam si rende conto del potere che ha di influenzare le percezioni sulla e della gente con la sua cinepresa.
Un incontro fortunato
Dopo aver concluso il liceo, Sam si trasferisce in una piccola stanza a Hollywood e cerca di sfondare nel mondo del cinema. Un’agenzia di talento gli organizza un incontro con un regista leggendario, che si rivela essere John Ford.
L’incontro è surreale: Ford, interpretato da un inaspettato David Lynch, osserva i cortometraggi e gli dice di imparare a posizionare l’orizzonte in modo corretto nelle sue inquadrature, in alto o in basso, ma mai al centro, perché
“Quando l’orizzonte si trova alla base è interessante. Quando l’orizzonte si trova in cima è interessante. Quando l’orizzonte si trova in mezzo è una merda noiosa”
Sam esce dagli studios, felice, e aggiusta la telecamera per mostrare l’orizzonte in alto, pronto a iniziare la sua carriera da cineasta.
Dentro il film
Il processo creativo
Il film offre uno sguardo intimo e analitico sul processo creativo, mostrando come l’arte non nasca in un vuoto, ma sia modellata da gioie e dolori, da ossessioni e da ferite emotive. Vediamo il giovane Sam Fabelman usare la macchina da presa non solo per raccontare storie, ma anche per elaborare e dare un senso a ciò che gli accade intorno, diventando uno strumento di comprensione e persino di fuga.
La famiglia
La famiglia è fonte di ispirazione e conflitto (e ripercorrere certe fasi della vita è stato il motivo per cui Seth Rogen ha visto spesso piangere Spielberg sul set). Il film non santifica le figure genitoriali, anzi, le dipinge con tutte le loro imperfezioni e contraddizioni. Le figure del padre e della madre creano una tensione che è il vero motore della trama. La loro disarmonia è una linfa vitale che, pur causando dolore, spinge il protagonista a cercare nella sua arte un’armonia che la realtà non può offrire.
Atto d’amore per il Cinema
La pellicola celebra l’emozione nel vedere la propria vita proiettata su uno schermo e la capacità del cinema di trasformare il caos in ordine. Sottolinea anche come la regia, oltre a essere un mestiere, sia una vocazione mistica, un modo di vedere il mondo che è unico e che può rivelare verità inaspettate.
Curiosità
– The Fabelmans è rimasto chiuso in un cassetto per vent’anni: Spielberg credeva che indagare i segreti di famiglia e offrire il suo punto di vista su come sia stato crescere, in modo sincero ma critico, avrebbe potuto offendere profondamente i genitori.
– Quando meno te lo aspetti, sul grande schermo arriva David Lynch e con lui, purtroppo, la sua ultima apparizione. Ma quanto sarà costato al regista? Riluttante ad apparire nel film, ha rifiutato per due volte prima di essere convinto a parteciparvi da Laura Dern chiedendo in cambio un sacchetto di cheetos, le patatine di mais al formaggio americane.
– A fronte di un budget di 40 milioni di dollari, il film ne ha incassati solo 45 e, nonostante le 7 candidature agli Oscar, non ne ha vinto nemmeno uno, facendo meglio ai Golden Globes, ai Critics’ Choice Awards e al David di Donatello.
Babylon
Scritto e diretto da Damien Chazelle nel 2022, con Brad Pitt, Margot Robbie, Diego Calva e Tobey Maguire.
Sinossi
Parte 1: Il muto
Il film si apre con una sequenza memorabile che mostra il caos e la decadenza di una sontuosa festa a Hollywood nel 1926. Jack Conrad è il divo indiscusso, osannato da tutti. È qui che uno dei protagonisti, Manny, incontra Nellie per la prima volta. Lei, determinata a sfondare, si introduce alla festa con una sfrontatezza che lo affascina.
Il giorno dopo, a causa dell’assenza di un’attrice, Nellie ottiene il suo primo ruolo sul set di un film di Conrad, dove mostra un talento naturale, capace di improvvisare e di catturare l’attenzione della macchina da presa. Nel frattempo, anche Manny, grazie alla sua intraprendenza e a una fortunata coincidenza, viene promosso come braccio destro di Conrad.
Si descrive in modo dettagliato la produzione dei film muti, mostrando il caos creativo dei set all’aperto, dove se ne girano decine contemporaneamente, con rumori, esplosioni e attori che si mescolano in una follia organizzata. Nellie LaRoy diventa rapidamente una stella, incarnando l’archetipo della flapper ribelle e seducente. La sua carriera e la sua vita privata sono un susseguirsi di eccessi, scandali e feste sempre più sfrenate. Anche Jack Conrad vive una vita di dissolutezza, diviso tra un successo professionale travolgente e una vita sentimentale instabile, tra matrimoni falliti e amori passeggeri.
Parte 2: Il sonoro
L’età dell’oro del muto è però destinata a finire. L’invenzione del sonoro rivoluziona l’industria, portando con sé nuove sfide e un’inevitabile crisi: le troupe devono imparare a gestire microfoni ingombranti, le voci degli attori vengono messe alla prova, le riprese diventano rigide e meno spontanee.
Mentre Manny si adatta rapidamente alla nuova tecnologia, diventando un produttore di successo per il sonoro, le carriere di Jack e Nellie iniziano a crollare. La voce di Jack non si adatta ai nuovi standard e i suoi film perdono il loro appeal; Nellie, il cui accento volgare e la sua natura caotica non si addicono ai ruoli perbene che lo studio le impone, si trova in difficoltà. La sua reputazione, già compromessa dagli scandali, viene ulteriormente danneggiata.
Parte 3: La caduta e la nostalgia
Il film vira verso un tono più drammatico e malinconico. La caduta dei protagonisti è inesorabile. Jack, ormai dimenticato dal pubblico, si suicida, sconfitto dalla nuova Hollywood. Nellie, travolta dai debiti di gioco e dalla dipendenza, sprofonda nella disperazione e fugge da Los Angeles, costringendo Manny a una disperata ricerca per salvarla.
In una sequenza surreale e agghiacciante, Manny si reca in una specie di Babilonia sotterranea per incontrare un gangster con cui Nellie ha un debito. La scena, ricca di perversione e violenza, mostra il lato oscuro e corrotto del sogno americano. Manny, spinto dall’amore per Nellie, cerca di proteggerla ma, alla fine, anche la loro relazione fallisce e lui è costretto a fuggire da Hollywood per la sua stessa sicurezza.
L’epilogo
Anni dopo, nel 1952, Manny torna a Los Angeles per la prima volta. Visita gli studi cinematografici, che ora sono un luogo tranquillo e ordinato, lontano dal caos della sua giovinezza. Entra in un cinema per vedere un film e la sua mente vaga. Il film proiettato è Singin’ in the Rain, e Manny si commuove fino alle lacrime, rivivendo la magia e il dolore del passato. La sua storia, quella di Nellie e di Jack, si confonde con la storia stessa del cinema, in un montaggio finale che ripercorre l’evoluzione dell’arte cinematografica, dal muto al colore, fino al presente.
Dentro il film
L’importanza del caos
Il film è una cavalcata selvaggia, una rappresentazione viscerale e sfrontata degli anni ’20 a Los Angeles. La prima parte è un’esplosione di energia pura, con feste monumentali e set cinematografici che sembrano gironi infernali e paradisiaci al tempo stesso. Chazelle usa questo caos per mostrarci la nascita di un’industria fatta di eccessi, ambizione sfrenata e creatività al limite della follia senza giudicare questa dissolutezza, ma usandola come lente per esplorare la natura stessa del cinema: un’arte che nasce dal fango, dalla volgarità e dalla bellezza più pura.
Una dolorosa transizione
Uno degli aspetti più affascinanti e cruciali di Babylon è il suo affrontare il passaggio dal cinema muto a quello sonoro. Il film riesce a trasmettere la drammaticità di questo cambiamento in modo magistrale, mostrando come una tecnologia possa stravolgere vite, carriere e intere epoche. La transizione non è dipinta come un semplice progresso, ma come un momento di rottura doloroso; vediamo attori e professionisti del muto ritrovarsi improvvisamente obsoleti, incapaci di adattarsi alle nuove regole. È un ritratto toccante e spietato di come il successo, per quanto travolgente, possa essere effimero e di come l’arte sia in continua evoluzione, lasciando indietro chi non riesce a tenere il passo.
Ode al Cinema
Babylon è una vera e propria dichiarazione d’amore per il cinema. Chazelle riesce a trasmettere la magia e il potere della Settima Arte. Le inquadrature, la colonna sonora di Justin Hurwitz e il montaggio vertiginoso lavorano all’unisono per celebrare il cinema come una forza in grado di creare sogni, di far ridere e piangere, di essere al tempo stesso la cosa più banale e la cosa più sublime del mondo.
Curiosità
– La scena di apertura è di una bellezza estatica senza precedenti: mostra alcuni dei diecimila costumi di scena e omaggia grandi film come Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick (1999), La dolce vita (1960) e 8½ (1963) di Federico Fellini.
– I personaggi interpretati da Margot Robbie e Brad Pitt si ispirano, rispettivamente a Clara Bow e a John Gilbert; la prima scandalizzò l’America rivelando le sue fantasie sessuali, il secondo pagò caro l’avvento del sonoro che rivelò una voce (la sua) in aperto contrasto con il suo essere affascinante e magnetico.
– Babylon è stato uno dei peggiori flop del cinema moderno: a fronte di un budget di 110 milioni di dollari ne ha incassati solo 65!
Bonus Track
Mi piace sempre riservare un posto speciale, che esuli dalla classifica ordinaria, ai film speciali troppo spesso dimenticati (a meno che si sia addetti ai lavori). La bonus track fa un passo indietro di decenni e si tuffa tra le note che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo canticchiato.
Cantando sotto la pioggia
Diretto da Stanley Donen e Gene Kelly nel 1952, con Gene Kelly, Donald O’ Connor e Debbie Reynolds.
Sinossi
Atto I: L’ascesa del sonoro
Il film è ambientato alla fine degli anni Venti a Hollywood, nel pieno del passaggio epocale dal cinema muto a quello sonoro. Don Lockwood è un famoso divo del cinema muto, Lina Lamont è la sua insopportabile partner. Don è un ex ballerino di varietà che ha scalato la vetta del successo grazie al suo fascino e alla sua eleganza, mentre Lina è un’attrice bellissima, ma egocentrica e con una voce stridula.
In un’intervista il protagonista racconta la sua educazione raffinata e la sua carriera gloriosa, mentre un flashback mostra la realtà: lui e il suo amico pianista Cosmo Brown si sono fatti strada con fatica, tra lavori umili e spettacoli di poco conto, finché non sono riusciti a sfondare nel cinema muto.
Atto II: La crisi
Una sera, dopo la première del suo ultimo film, Don cerca di sfuggire a un’orda di fan e si ritrova a saltare sull’auto di una aspirante attrice di teatro, Kathy Selden. Tra i due nasce subito un’antipatia reciproca: Kathy lo accusa di essere un attore presuntuoso e superficiale, mentre lui la deride per il suo lavoro di basso livello nel mondo del varietà. Ma i due si piacciono e il loro legame cresce con numeri musicali iconici come Good Morning.
La svolta arriva con il successo del primo film sonoro, Il cantante di jazz, che mette in crisi l’intera industria del muto. Il produttore R.F. Simpson decide che il prossimo film di Don e Lina, Il cavaliere galante, dovrà essere trasformato in un film sonoro.
Atto III: Il disastro e la grande idea
Le prime riprese si rivelano un disastro senza pari. La tecnologia è rudimentale, i microfoni vengono posizionati in punti inusuali e gli attori non sanno come gestire il volume della loro voce. Ma il problema principale resta Lina, la cui voce, in cuffia, è ancora più acuta e fastidiosa. Il film, a seguito di un’anteprima disastrosa, viene pesantemente criticato.
È a questo punto che Cosmo ha la geniale intuizione: trasformare Il cavaliere galante in un musical, cambiando il titolo ne Il cavaliere danzante. Don accoglie l’idea con entusiasmo, ma il problema della voce di Lina rimane. A quel punto, Cosmo e Don propongono di farla doppiare da Kathy Selden, la cui voce è splendida e l’attrice accetta, convinta di poter finalmente sfondare a Hollywood.
Mentre le riprese del musical procedono con successo, Lina, che ha scoperto il piano, cerca in tutti i modi di sabotare la carriera di Kathy, sfruttando il suo contratto che le imponeva di doppiarla per sempre e non la lasciava apparire in altri film.
Atto IV: La pioggia
Il cavaliere danzante diventa un successo strepitoso. Durante la prima il pubblico è entusiasta e, a fine proiezione, acclama Lina, invitandola a esibirsi dal vivo. Don, Cosmo e R.F. Simpson escogitano un altro piano: propongono a Lina di cantare in playback, con Kathy nascosta dietro il sipario. Lina accetta, ignara che questo sia un modo per smascherarla.
Mentre Lina canta con la voce di Kathy, il trio a sorpresa alza il sipario, svelando la verità al pubblico. L’inganno è svelato, Lina fugge umiliata e Kathy, che è stata costretta a cantare dietro le quinte, si ritrova inaspettatamente sotto i riflettori, acclamata dal pubblico. Don e Kathy si baciano di fronte al cartellone pubblicitario del loro nuovo film (con un Kelly particolarmente prepotente e arrogante nel baciare la Reynolds, come lei stessa ricorderà nel suo libro di memorie), mentre Don canta l’omonima canzone, in una delle scene più iconiche della storia del cinema.
Dentro il film
Ironia
La transizione dal muto al sonoro, che ha messo in crisi molte star del tempo, viene narrata con arguzia, evidenziando le difficoltà tecniche e le tragicomiche conseguenze che ne derivarono. La critica all’artificiosità dell’industria di Hollywood è sottile ma efficace, rendendo il film una specie di meta-cinema che analizza se stesso e il suo contesto storico.
Maestria tecnica e coreografica
Ciò che rende Cantando sotto la pioggia un’opera fondamentale è la sua ineguagliabile maestria tecnica. Le coreografie di Gene Kelly sono un’esplosione di energia, precisione e creatività. La famosa sequenza del ballo sotto la pioggia è un’icona cinematografica, un momento di pura gioia che fonde recitazione, canto e danza in un’unica, indimenticabile performance. Il film non si limita a mostrare i balletti, ma li integra nella narrazione, rendendoli parte dello sviluppo dei personaggi e della trama. La gestione dei colori, la cura dei dettagli scenografici e l’uso innovativo della telecamera per seguire i movimenti dei ballerini sono esempi di come il musical abbia spinto in avanti i confini tecnici dell’epoca.
Impatto culturale
Il film ha segnato la storia del cinema, influenzando generazioni di registi e coreografi. È un’opera che celebra la creatività e la capacità di adattamento di fronte ai cambiamenti, temi che rimangono attuali anche oggi. Si fa testimonianza storica di un’epoca cruciale per il cinema e continua a essere un punto di riferimento per l’eccellenza nel genere del musical. È un film che si può rivedere all’infinito, scoprendo ogni volta nuovi dettagli e apprezzando la sua eterna freschezza.
Curiosità
– La sceneggiatura è successiva alle canzoni e dovette adattarsi a queste, compresa la celebre Singin’ in the rain, brano eseguito da Cliff Edwards e dalle Brox Sister in Hollywood che canta (1929), Jimmy Durante in Il professore (1932), Melvyn Douglas in Il castello maledetto (1932) e Judy Garland in Little Nellie Kelly (1940) e in L’ultima sfida (1948).
– La scena in questione fu tra le più complicate da girare, perché durante le riprese pomeridiane la gente che rincasava dal lavoro avviava gli irrigatori dei propri giardini, facendo scendere la pressione dell’acqua e danneggiando l’effetto pioggia; leggenda vuole che fu aggiunto del latte per dare all’acqua la giusta intensità, quando in realtà i teloni per ricreare l’ambientazione notturna e l’illuminazione in controluce diedero il risultato sperato.
– Fuori dal set, Gene Kelly non era di certo uno stinco di santo: non faceva altro che tormentare i suoi colleghi sminuendone le doti attoriali e coreografiche. Debbie Reynolds racconta di come si nascondesse sotto al pianoforte per sfuggirgli e dei piedi sanguinanti a causa delle eccessive prove e delle lunghe ore di ballo. Addirittura un giorno Kelly le ordinò di pulire il pavimento dal sangue, decidendo poi di doppiare il suono dei suoi passi.
Cosa lega queste Lettere d’amore al Cinema?
Rileggendo l’articolo mi sono resa conto che c’è un (non tanto) sottile filo rosso che lega tutte queste Lettere d’amore al Cinema, scelte fra tante opere cinematografiche chi mi hanno fatto appassionare a un mondo fatto di cellulosa e che spesso mi hanno salvato da momenti particolari senza proferir parola. Ed è proprio il silenzio il binario su cui scorre questo articolo: il muto e il traumatico passaggio al sonoro, che ha comportato una vasta gamma di problematiche fuori e dentro il set.
Il cinematografo è muto
La macchina delle meraviglie nacque muta, quando i fratelli Lumière riprodussero immagini in serie e in movimento capaci di creare un effetto di realtà tale da far dimenticare al pubblico l’assenza di suoni e rumori. In tale tratto distintivo germinò lo specifico cinematografico a cui molti cineasti non vollero mai rinunciare per piegarsi al sonoro, ritenuto commerciale e modaiolo.
Si badi bene che il cinema degli albori non era completamente muto; le proiezioni erano accompagnate dai maestri di musica che eseguivano brani dal vivo, dai rumoristi che manovravano lastre e secchi per ottenere effetti metallici e dagli imbonitori suggerivano i testi ai molti analfabeti sul set.
L’avvento del sonoro
Il 1926 fu l’anno della svolta: la Warner Bros. applicò in pellicola il sistema Vitaphone per il Don Juan di Alan Crosland, ma da grandi cambiamenti derivano grandi problemi. La registrazione doveva avvenire in presa diretta, le rumorose cineprese dovevano essere isolate in cabina, la ripresa doveva essere continua per evitare di interrompere il flusso sonoro, gli attori si vedevano costretti ad abbandonare il modo di recitare sfruttando il loro corpo e molti furono sostituiti dai nuovi attori parlanti (vedi Viale del tramonto di Billy Wilder del 1950).
Tutti questi problemi saranno risolti con la post-sincronizzazione e il missaggio, rispettivamente la sincronizzazione della colonna visiva a quella sonora (registrata prima) e l’integrazione di dialoghi e rumori in un’unica traccia da inserire a bordo pellicola.
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Modi differenti di raccontare storie
Le due forme comportano modi di narrare che hanno lo stesso scopo comunicativo, seppur utilizzino canali diversi. Questo investe tanto il comparto tecnico quanto quello emotivo.
Il livello tecnico
Laddove il muto ha il compito di creare un linguaggio universale fatto di immagini accompagnate da didascalie, il sonoro assolve alla funzione di avvolgere e unire il flusso delle immagini, dando continuità al racconto e soddisfacendo i principali focus della comunicazione: informativo e narrativo. La funzione informativa veicola il sapere del racconto, quella narrativa unifica il succedersi delle immagini.
Il livello emotivo
Emotivamente parlando, il muto intratteneva attraverso le espressioni del viso e la mimica, mentre il sonoro coinvolge su più livelli lo spettatore (spesso letteralmente su di un piano epidermico), aumentando la partecipazione all’esperienza cinematografica. In particolare con la musica, più che con il suono, che diventa prolungamento delle emozioni che nascono da fatti e/o personaggi, accrescendo l’empatia nei loro confronti.
…e cosa resterà di loro?
Le Lettere d’amore al Cinema non smetteranno mai di essere scritte, che siano dichiarazioni aperte o meno. Magari non saranno dei grandi successi al botteghino, magari saranno riscoperti dopo decenni, ma ci sarà sempre chi deciderà di omaggiare la macchina delle meraviglie, raccontandone la storia in modo intimista o più barocco.
Così come sono certa che alcune delle pellicole di cui vi ho parlato saranno riconsiderate con il tempo per il valore che hanno; bisogna solo dar loro l’opportunità di raccontarsi e lasciarsi indagare nel profondo. E se vien giù la pioggia, chiudiamo gli ombrelli e lasciamoci trasportare da un’epoca all’altra con leggerezza ed emozione.