C’era un tempo in cui parole come reboot e “grounded” non erano così diffuse nel vocabolario hollywoodiano. Oggi sono talmente inflazionate che non ci si fa più neanche caso, ma l’inizio di questa escalation si può rintracciare in un periodo preciso e in un’opera specifica: Batman Begins di Christopher Nolan, uscito nelle sale italiane esattamente vent’anni fa.
L’influenza che questa pellicola ha avuto sui film di supereroi e sui cinefumetti in generale è enorme, ma ancora più importante è l’impatto sul cinema mainstream dopo gli anni 2000, eppure non sempre lo si menziona o se ne parla con cognizione di causa. Oggi rimediamo a questa mancanza.
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Leggendo il titolo dell’articolo si potrebbe obiettare che il cinefumetto spartiacque non fu Batman Begins, bensì il suo ben più noto sequel, The Dark Knight. In parte è vero, considerato il ciclone che quel film fece piombare sull’intera cultura pop, tuttavia, molto banalmente, senza le basi di Begins, Dark Knight non avrebbe potuto fare quello che ha fatto. Batman Begins walked so The Dark Knight could run, come direbbero i nerd anglofoni (“Batman Begins ha camminato così che The Dark Knight potesse correre”).
Lo status di cui gode la Trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan oggi viene spesso attribuito al successo del capitolo centrale (o addirittura alla sola interpretazione di Heath Ledger come Joker…), ignorando la qualità degli altri due film, ma soprattutto tutti gli spunti e gli elementi innovativi presenti già nell’opera prima. Questo perché all’atto pratico l’uscita del film arrivò quasi in sordina, in un periodo in cui il franchise di Batman e la sua attrattiva sul pubblico erano più che dormienti.
Il reboot come lo intendiamo oggi
Ritorniamo quindi al concetto di reboot, ovvero di rilancio. Il film di Nolan fu una delle prime vere operazioni moderne di rilancio di un brand cinematografico, ovvero una proprietà intellettuale famosa riproposta in una nuova veste, con un approccio fresco e innovativo per una nuova generazione di spettatori; lo stesso regista puntò tutto sul differenziarsi il più possibile da quanto fatto prima, anziché cullarsi sulla familiarità di opere precedenti. Il Batman cinematografico nell’immaginario collettivo fino ad allora era uno solo, quello di Tim Burton, immortalato sullo schermo da Michael Keaton, e questo era il primo impervio ostacolo da superare.

Per questo motivo Nolan spinse fin da subito la sua visione personale, diversa da tutto ciò che si era visto sul Cavaliere Oscuro all’infuori dei fumetti. Quando nel 2002 venne a sapere che Warner Bros. cercava da anni di rimettere in piedi il franchise, con scarso successo, fu lui stesso a chiedere un incontro. In uno slancio di confidenza estrema anziché presentarsi negli uffici della compagnia con un una proposta e qualche foglio di carta, riuscì a convincere i produttori a recarsi a casa sua: precisamente nel suo garage dove da settimane stava preparando assieme a David Goyer (co-sceneggiatore) e Nathan Crowley (scenografo) modellini, bozzetti e riproduzioni inerenti al mondo e ai personaggi del film.
“C’era un modo di fare quei film di cui ero molto preoccupato, perché sapevo che non mi avrebbe dato qualcosa di mio“, racconta lo stesso filmmaker nel libro The Nolan Variations. Per evitare infatti che il suo progetto finisse come i precedenti tentativi falliti o accantonati nelle fasi embrionali – spesso fuori dal controllo dei registi e con fondi già bruciati per la pre-produzione – Nolan voleva assicurarsi che i pezzi grossi della Warner vedessero e toccassero con mano, prima ancora di tirare fuori gli assegni.
La sua determinazione a creare una nuova iconografia, fondamentale per ridare lustro al personaggio, era ferrea e concreta. Quell’incontro gli valse l’incarico, e circa due anni dopo il film era pronto per prendere il pubblico di sorpresa, in tutti i sensi.
Una rivoluzione inaspettata
In quegli anni le notizie sui film in arrivo non circolavano con la frequenza e la velocità di oggi. Il pubblico generalista, che già di suo tende a non seguire assiduamente quel mondo, sapeva a malapena dell’esistenza del film, e quando la pubblicità comiciò timidamente a farsi strada in tv o in alcuni eventi pubblici, erano più i dubbi che le certezze: da dove usciva fuori quest’opera? Chi era il regista? E dov’era finito Michael Keaton? Per un po’, persino dopo l’uscita, diverse persone furono genuinamente convinte che si trattasse di un antefatto dei due film di Burton.
Alla confusione si unì anche un generico senso di sfiducia, dovuta al ricordo che aveva lasciato l’ultima disastrosa incursione batmaniana al cinema (Batman & Robin). Sommando tutti i fattori non è difficile capire perché Batman Begins incassò poco meno di 400 milioni di dollari. Cifre positive e incoraggianti (era diventato il secondo film più redditizio del franchise), ma non certo da record. L’atmosfera attorno a questa pellicola era talmente tiepida che buona parte del pubblico a malapena si rese conto della qualità dell’opera; tre anni dopo, all’uscita del sequel, molti ancora ignoravano l’esistenza di un capitolo antecedente.
Nonostante questo, Nolan aveva ottenuto i risultati che contavano veramente: la critica apprezzò quasi all’unanimità, gli spettatori in sala reagirono positivamente, e i lettori DC Comics dopo più di dieci anni erano nuovamente orgogliosi di un adattamento cinematografico. Begins non solo galvanizzò i fan batmaniani della prima ora, ma spronò una nuova generazione ad approcciarsi ai fumetti del Cavaliere Oscuro.
In Italia l’eco di entusiasmo propagata dal film, in concomitanza con un nuovo editore che prese in gestione i diritti DC Comics, spronò la ristampa di tanti classici e il rilancio delle testate batmaniane mensili. Il crociato ammantato aveva riconquistato i fan, mentre per il resto del mondo l’attesa sarebbe durata ancora un paio d’anni.
Il metodo Nolan
Batman Begins è stato uno spartiacque, nel modo di concepire l’idea del supereroe sul grande schermo e soprattutto nel modo in cui la percezione pubblica di questi film sarebbe cambiata. La validità artistica di pellicole come Superman di Richard Donner, Batman di Tim Burton o Spider-Man di Sam Raimi non è mai stata in discussione, cionondimeno queste erano sempre viste come opere rivolte a un pubblico molto giovane, e focalizzate prevalentemente sull’intrattenimento.
Il progetto di rifondazione dell’uomo pipistrello da parte di Christopher Nolan ha cambiato le carte in tavola. Anche persone che solitamente non erano interessate a queste produzioni, o le scansavano per via della loro natura, hanno dovuto rivedere le proprie posizioni dopo la trilogia del Cavaliere Oscuro. Questi film hanno dimostrato una volta per tutte che il cinema tratto dai fumetti non aveva niente da invidiare al grande cinema di genere, ma anche al cinema d’autore, e ci sono riusciti con una combinazione efficace di precise scelte creative.
Tra realismo ed escapismo

Sono in tanti a definire il Batman di Nolan “realistico”, senza però comprendere appieno questo aspetto e il perché sia stato rilevante. La trilogia non è stata concepita per essere realistica nel vero senso della parola bensì, come dice il regista, grounded, ossia concreta, plausibile. Non esistono magia o superpoteri nella Gotham City nolaniana, eppure in tutti e tre i film non mancano sequenze spettacolari e azione al cardiopalma come se ne vedono in tanti altri action-movie; Batman e i suoi antagonisti in diversi casi compiono azioni al limite delle possibilità umane o difficilmente spiegabili senza sospensione d’incredulità.
L’intuizione vincente di Nolan è stata quella di portare l’ambientazione più vicina al nostro mondo, un mondo ordinario, in modo che a risaltare fosse appunto la presenza di una figura straordinaria. Ogni elemento era razionalizzato e credibile, dalla batmobile alla batcaverna, ogni personaggio per quanto bizzarro sulla carta era rivisto in chiave “urbana” come in un neo-noir (genere che Nolan aveva padroneggiato egregiamente con i suoi lavori precedenti).
Abituati a scenari fantasiosi e grotteschi, gli spettatori con Batman Begins trovarono per la prima volta un immaginario verosimile, che sfidava le convenzioni del supereroismo tradizionale e soprattutto incrinava pregiudizi radicati da anni. Questo primo capitolo convinse diversi scettici a prendere un po’ più sul serio pellicole di questo tipo, preparando il terreno per il terremoto che avrebbe scatenato il sequel: The Dark Knight portò questa sperimentazione ancora più a fondo e avrebbe scardinato definitivamente qualsiasi reticenza ad accettare che da un fumetto con un uomo mascherato si potesse realizzare un film di spessore, e non semplice pop-corn movie.
Dalle tavole al grande schermo
Naturalmente il materiale originale si prestava alla perfezione a un trattamento del genere – fin dalle primissime pubblicazioni i fumetti di Batman affondavano le radici nei racconti pulp e polizieschi, più che nel fantastico – ma ancora più evidente era il ruolo ricoperto da questo personaggio nella rivalutazione culturale del fumetto come forma d’arte, cosa che pertanto lo rendeva il veicolo ideale per replicare questa operazione su celluloide: Il ritorno del Cavaliere Oscuro (1986) di Frank Miller ha segnato un punto di rottura con la tradizione dei supereroi diventando, assieme ad altre opere seminali, simbolo della narrativa d’autore all’interno di un mercato fortemente improntato al pop.
Nel giro di due anni Miller aveva decostruito e ricostruito (Batman: Anno Uno, 1988) il Cavaliere Oscuro, trasportando le sue storie in una dimensione più matura e pregna di riflessioni. Non a caso Nolan ha utilizzato entrembe le miniserie come fondamenta della sua trilogia, al fianco di altri fumetti altrettanto rilevanti (Batman: The killing joke, Batman: Il lungo Halloween). In tal senso, la paternità dello stile “dark and gritty” che ha spopolato negli anni seguenti a Batman Begins non può essere assegnata al film, ma di certo ha contribuito al suo sdoganamento nel panorama mainstream.

La radicale reinterpretazione operata dal film sui personaggi e sul mondo di Batman ha portato diversi fan a interrogarsi sulla vicinanza con le fonti originali, ma per molti versi sono state queste trasposizioni a ridefinire i canoni dell’accuratezza di un adattamento. Già nel primo capitolo è evidente che le modifiche apportate, in gran parte di natura estetica, non hanno cambiato l’essenza di storie e personaggi, che è stata brillantemente estratta e raffinata da diverse storyline fondamentali.
Tutto questo però non sarebbe servito a nulla se Batman Begins non avesse centrato il bersaglio primario: rimettere al centro della storia il suo protagonista.
Le origini segrete di Bruce Wayne
La principale critica mossa ai film batmaniani prima del 2005 verteva sul fatto che il personaggio principale finiva per essere messo in ombra dai cattivi. Alcune delle sue caratteristiche tipiche inoltre lo rendevano spesso insondabile e distante dall’audience. Questa era un’altra lacuna alla quale Nolan voleva rimediare, nonché il motivo per cui Batman Begins è stata la prima pellicola a esplorare in profondità le origini dell’uomo pipistrello e il viaggio che Bruce Wayne ha intrapreso per arrivare a indossare l’iconico costume. L’uomo dietro la maschera era la chiave.
Un vero character study, che – e forse in questo è insita l’unica vistosa licenza rispetto ai fumetti – puntava a umanizzarlo maggiormente agli occhi del pubblico, per instaurare una connessione emotiva con Bruce Wayne. Nolan sapeva che se il film avesse fatto breccia negli spettatori in quei primi 40-45 minuti, senza neanche mostrare Batman, li avrebbe conquistati; ecco perché nonostante gli attori di spicco e la solida scrittura, i comprimari e i villain del film non rubano mai la scena al protagonista, che rimane fino alla fine il cuore pulsante di tutto.
Anche l’apporto di Christian Bale è stato fondamentale per raggiungere il risultato. La Warner Bros. aveva caldeggiato e fatto provinare svariati interpreti (alcuni decisamente improponibili), e Bale per giunta era reduce da The machinist (L’uomo senza sonno), per il quale era diventato praticamente anoressico. Nolan però non ha mai considerato nessun altro all’infuori dell’attore gallese e ha sostenuto la sua idea fino alla fine dei casting, quando ha potuto finalmente filmare Bale per gli screentest, sia nei panni di Bruce che in quelli di Batman.

I filmati avevano dimostrato ai produttori quello che il regista aveva intuito già dalle prime discussioni con l’attore, e che avrebbe elevato il film rispetto ai precedenti: Bale incarnava perfettamente la dualità complessa e affascinante del personaggio. Ha portato il film sulle sue spalle e fornito una prova di alto calibro nonostante fosse circondato da talenti e veterani del calibro di Liam Neeson, Michael Caine, Morgan Freeman, Gary Oldman; per la prima volta il pubblico e i fan avevano finalmente un film “su” Batman e non un film con Batman.
L’ombra lunga di Batman Begins
Le caratteristiche discusse finora hanno esteso la portata Batman Begins ben oltre il suo successo individuale. Gli addetti ai lavori furono i primi ad accorgersi del potenziale che la pellicola aveva risvegliato e già dall’anno successivo diversi studios avrebbero cominciato a seguire le orme di Nolan, adottando operazioni simili su svariati franchise: vecchie (o nuove) icone riportate alle radici raccontando storie di origini mai viste, con un registro più serio e un approccio “realistico”. Era nato un nuovo trend a Hollywood, che avrebbe plasmato diverse produzioni negli anni a venire, in positivo e in negativo.
Tra i vari franchise a risentire fortemente dell’influenza del nuovo Batman spicca naturalmente 007. Il ritorno di James Bond era già pianificato da qualche anno, ma guardando il primo film del nuovo ciclo (Casino Royale), è impossibile non notare l’effetto sortito dall’uscita di Batman Begins: la storia di Bond riparte dalla neo-acquisita “licenza di uccidere”, ed è riproposta in una versione più grezza e granitica rispetto alle incarnazioni che lo avevano preceduto; i gadget fantasiosi lasciano spazio a combattimenti e inseguimenti più cruenti, il machismo storicamente associato al brand viene attenuato in favore di un protagonista più umano, sfaccettato e vulnerabile.
L’impronta è talmente marcata che le due saghe si intersecano più volte: Sam Mendes ha citato apertamente The Dark Knight come ispirazione principale per Skyfall, non è difficile capire perché; The Dark Knight Rises e Spectre hanno altri elementi in comune. Infine, la decisione di dare una fine all’arco narrativo di James Bond in No time to die (dopo oltre 50 anni di sequel ed episodi autoconclusivi) deve sicuramente qualcosa al finale della trilogia di Batman, prima epopea di supereroi a decretare la conclusione per il suo protagonista; il fatto che Nolan a sua volta avesse infuso caratteristiche degli 007 classici nel suo Batman rende il tutto una curiosa e simbolica chiusura del cerchio.

Persino serie di stampo totalmente differente si sono instradate sul solco tracciato da Batman Begins: Rise of the planet of the apes, che voleva riportare in auge Il pianeta delle scimmie con un prequel moderno; Assassin’s Creed, che per attirare il pubblico profano di videogame calava la storyline in un contesto più verosimile. Terminator Salvation, che pur mantenendo la mitologia dei due classici di James Cameron, era pensato per avviare una nuova trilogia e raccontare il viaggio di Kyle Reese.
Rimanendo nel campo dei supereroi, si farebbe prima a citare i film che non hanno preso spunto da Nolan, ma le dichiarazioni di registi e attori che negli anni hanno citato Begins come origin story perfetta a cui aspirare si sprecano: da Edward Norton per il suo sfortunato The Incredible Hulk, Marc Webb per il reboot The Amazing Spider-Man, Jon Favreu con il primo Iron Man.
20 anni dopo
Riguardandolo oggi, l’inizio della trilogia del Cavaliere Oscuro ha ancora una forma invidiabile. Batman Begins mantiene intatto il suo sguardo lucido sulla figura del vigilante/supereroe reinventata per il 21° secolo. Grazie alla sua matrice artigianale (scenografie, effetti speciali vecchio stampo, veicoli e modellini costruiti e utilizzati sui set) e al suo look peculiare (girato in pellicola, fotografia e colori in armonia con le tematiche della storia) è fuori dal tempo e difficilmente invecchierà negli anni a venire.
L’autore che lo ha concepito oltre vent’anni fa aveva ancora tutto da dimostrare, e a dispetto della sua inesperienza ha cesellato in quei 140 minuti ogni componente per costruire un racconto di formazione che non si risparmia su niente. Dando un’occhiata a diverse opere che di questi tempi si affacciano su questo stesso panorama – prive di personalità, nate già datate, o senza una visione forte dietro – viene da chiedersi se Hollywood sia mai riuscita a ripetere quanto fatto magistralmente da Batman Begins.