1975: The Rocky Horror Picture Show. Balliamo?

Conoscete il Rocky Horror Picture Show? Indossate calze a rete e tacchi a spillo. Oggi si balla.

“It’s just a jump to the left
And then a step to the right
With your hands on your hips
You bring your knees in tight
But it’s the pelvic thrust,
That really drives you insane”

Fate un salto a sinistra e poi uno a destra; mani sui fianchi, ginocchia in dentro e andate giù di spinta pelvica da far arrossire Elvis! No, non si tratta del tormentone dell’estate che verrà, ma sfido voi tutti, soprattutto gli uomini che non devono chiedere mai, a non ballare sulle note del Rocky Horror Picture Show.

Vi farò da Cicerone con guêpière e reggicalze per raccontarvi il miglior modo possibile per liberarsi dai pregiudizi sessuali che ci ingabbiano e impediscono che la vita fluisca, con i suoi meravigliosi eccessi. “Don’t dream it, be it” è il mood per affrontare l’articolo che conterrà spoiler relativi alla trama, ma vale la pena leggere il resto per incuriosirsi e correre a recuperare il miglior musical di tutti i tempi.

 

 

Ballo film
Time Warp

La trama

Un giorno di pioggia, no, no…quella è un’altra storia… dicevo, era una sera buia e temp…  no. Non ci siamo. Ricominciamo.

È il 1974, Brad Majors e Janet Weiss tornano dal matrimonio di vecchi amici della Contea di Denton e il ragazzo (Barry – cucciolone con la riga al lato – Bostwick) ne approfitta per farle l’indecente proposta. Inutile dire che Janet, una Susan Sarandon cotonata e con gonna rosa a sbuffo, accetta. Durante il viaggio per andare a trovare il loro vecchio docente universitario e dargli la lieta notizia, il Professor Everett Scott (Jonathan Adams), i due sono sorpresi da un temporale nel pieno della notte e forano. Nei paraggi si trova un misterioso castello dove si dirigono per telefonare e cercare aiuto, ignorando l’avviso “Enter at your own risk” sulla porta di casa.

Vengono accolti dalla domestica Magenta (Patricia Quinn, le prorompenti labbra dell’inizio del musical, mentre quelle della locandina sono della modella Lorelei Shark) e dal servitore Riff Raff (Richard O’ Brien); lei in divisa da cameriera, lui emaciato e un po’ gobbo come “Aigor” del Frankenstein Jr. di Mel Brooks del 1974 (sarà un caso?). I ragazzi vengono “gentilmente” accompagnati in salone dove i transilvaniani stanno provando il Time Warp per il padrone di casa, l’ambiguo Dr. Frank-N-Furter (un Tim Curry in forma strepitosa).

Il Dottore, con camice verde e guanti rosa fluo, mostra ai giovani la sua ultima creazione: un adone dalle dimensioni colossali, biondo e muscoloso come He- o bilMan, di nome Rocky (Peter Inwood) assemblato con parte degli organi di un motociclista appassionato di rock ‘n’ roll, Eddie (il cantante Meat Loaf), un tempo amante della groupie Columbia (Nell Campbell) e poi del dottore stesso.

 

 

The Rocky Horror Picture Show
L’ingresso di Eddie

 

Il giovane, spaventato dagli sguardi curiosi degli astanti, fugge e riesce a calmarsi solo davanti ai doni che gli vengono fatti e che faranno di lui un vero uomo in meno di una settimana: bilancieri, pesi e la cavallina. Nel frattempo Eddie si sveglia dopo l’operazione e sbuca furibondo dalla cella frigorifera, ma sarà fermato a picconate dal dottore che non ha più bisogno di lui ed è fortemente risentito perché il motociclista aveva rifiutato le sue avances perché poco avvenente.

Ristabilita la calma, il Dottore può sposare Rocky durante una cerimonia organizzata al castello e iniziare ai piaceri della carne i giovani ospiti, ma per Janet qualcosa va storto (o forse per il verso migliore): fuggita in preda alla disperazione, si va a nascondere nel laboratorio dove era nato poc’anzi Rocky e lo trova lì per sfuggire alle angherie di Riff Raff: i due avranno un rapporto sessuale spiati da Magenta e Columbia tramite le telecamere fissate nella stanza.

Qualcuno suona il campanello del castello. Si tratta del Dr. Scott, in sedia a rotelle, che cerca suo nipote, un biker scapestrato e poco rispettoso delle leggi che è scomparso da tempo. Invitato a cena con i giovani, la creatura e il resto dei trasilvaniani, Frank-N-Furter dirà a tutti che l’arrosto che stanno gustando appartiene al vecchio amante, scatenando l’indignazione e il disgusto dei commensali che fuggono nel laboratorio.

 

 

Musical finale
Riff Raff e Magenta

Esaminando la tecnologia usata dal Dottore, lo zio del ragazzo si rende conto che si tratta di apparecchi alieni e in quell’istante viene pietrificato dal sonic transducer azionato da Frank per sbarazzarsi di tutti. Il montaggio stacca tatticamente su uno spettacolo libidinoso in cui i trasilvaniani sembrano in preda alla stessa follia che aveva colpito il padrone del castello. I fratelli Magenta e Riff Raff interrompono i balli nei loro reali panni da extraterrestri, permettono a Brad Janet e il Professor Scott di fuggire e uccidono Frankie, per aver avuto una condotta morale oltre il limite della decenza.

A questo punto, possono partire con il castello-astronave verso casa, il Pianeta Transexual della Galassia Transylvania.

 

Le canzoni

So che i musical fanno storcere il naso ai più e io stessa, nonostante sia una grande appassionata del genere, ho bisogno di un certo tipo di canzoni che siano ben dosate e intervallate da dialoghi. Ma a opere come Cabaret (1972), Jesus Christ Superstar (1973), Grease (1978) o Cats (1981) cosa vuoi rimproverare? Sono capolavori che non invecchieranno mai. Ci metto dentro anche The Blues Brothers (1980)… Ora ditemi che i musical son roba da femminucce…

Ovviamente, in opere come queste le canzoni sono fondamentali perché mettono in musica battute che altrimenti sarebbero dialogate e i testi vanno letti bene per comprendere il senso che permea l’opera. Quindi, vi toccherà leggere un brevissimo compendio sulle canzoni più significative del Rocky Horror usate sia nella versione teatrale che cinematografica.

 

The Time Warp

Impossibile non ballare, anche perché ci viene spiegato, passo dopo passo, come farlo. Del brano sono state prodotte numerose cover (una di Sebastian Bach degli Skid Row) e parodie (ce la ricordiamo quella di Elio e le Storie Tese che apriva Mai dire Gol nel 1997?).

Nel film, Brad e Janet sono spinti da Magenta e Riff Raff nel salone dove i transilaviani stanno provando il Time Warp, intervallato dal racconto cantato di Columbia che ci parla di quella volta che incontrò un ragazzo che la prese (in tutti i sensi) e le cambiò per sempre la vita. Janet, spaventata e sul punto di svenire, implora Brad di andar via perché sente qualcosa di malsano nell’aria, ma il ragazzo sembra catturato dall’atmosfera, infatti chiede ai transilvaniani se conoscano altri balli come il charleston.

La canzone è la più importante dal punto di vista sociale dell’opera perché rappresenta la cesura nella storia contemporanea dalla quale, grazie alle manifestazioni dei Sessantottini, non si è più tornati indietro. Lo snodo principale è il tempo e ciò che è: qualcosa che passa e corre lungo una linea retta o qualcosa che ci guarda girare in tondo e tornare sempre sui nostri passi (storti)?

 

Sweet Transvestite

Mentre i due giovani stanno per fuggire, vengono bloccati da Tim Curry che fa il suo trionfale ingresso; quando sale sul palco e toglie il lungo mantello nero, ha bustino, reggi calze e stivali glitterati. Dice ai due di non farsi ingannare dal sua aspetto poco ortodosso perché di notte si trasforma in un grande amante proveniente da Transexual (nella traduzione italiana Pianeta Bisesso).

Qui apro una parentesi linguistica: il film non è mai stato (giustamente!) tradotto, ma solo sottotitolato. Purtroppo, la versione italiana svela subito la provenienza extraterrestre del padrone di casa e dei commensali, rovinando, così, la sorpresa finale. A salvare capra e cavoli è lo spettatore: chi mai penserebbe che gli abitanti del castello siano veri alieni sulla terra, giunti per portare emancipazione sessuale tra noi poveri umani affannati a far sempre la cosa moralmente giusta? E qualcuno mi dica, per favore, quale sia la cosa moralmente giusta…

Parentesi linguistica a parte, il Boss (come dice il tatuaggio sul braccio di Frankie) invita i ragazzi a cena promettendogli di mostrar loro la sua ultima creazione, un giovane biondo e capace di allentare la sua tensione. Sì, quel tipo di tensione.

 

 

Scena musical
L’ingresso di Frankie

Touch-a, Touch-a, Touch-a Touch Me

L’interpretazione dell’allora ventinovenne Susan Sarandon tiene testa al resto del cast con questo pezzo sfrontato con cui la virginea Janet sente muoversi qualcosa dentro e si concede al biondone muscoloso in un turbine di passione. Non sa di essere spiata da Columbia e Magenta che le fanno il verso deridendola, celando approvazione perché finalmente, la ragazza ha capito quale sia la strada da percorrere.

“Toucha toucha toucha touch me, I wanna be dirty

Thrill me chill me fulfil me, Creature of the night”

Il pezzo omaggia la libertà femminile all’amore attivo dopo aver scoperto cosa sia il piacere ed è stato coverizzato per la serie televisiva del 2010 Glee, che ha dedicato al Rocky Horror il quinto episodio della seconda stagione intitolato, per l’appunto, The Rocky Horror Glee Show.

Don’t Dream It, Be It

Il pezzo è diventato il manifesto del musical, nonché uno dei momenti più intimi del personaggio di Frankie che, per la prima volta, sfondando la quarta parete, si mostra vulnerabile al suo pubblico immaginario. Vale la pena leggerne un estratto:

“[···] cause I wanted to be dressed just the same…

Give yourself over to absolute pleasure

Swim the warm waters of sins of the flesh

Erotic nightmares beyond any measure

And sensual daydreams to treasure forever [···]

We’ve got to get out of this trap

Before this decadence saps our will [···]”

Avvolto nel suo boa nero, Frankie ci racconta la sua filosofia di vita e quella voglia di adottare il femmineo sognando le fascinose attrici di Hollywood; calandosi nella nebbia e poi in una piscina nascosta, ci invita metaforicamente nel suo castello, dove abbandonarci a pulsioni e desideri reconditi. Questa è la lezione che i giovani Brad e Janet ora accettano senza repulsione e li porta a interrogarsi su chi siano in realtà e quale strada vogliano davvero percorrere per essere liberi in un mondo di costrizioni.

 

 

Scena film
Janet e la Creatura

The Rocky Horror Picture Show: dal teatro…

Richard O’Brien, inglese cresciuto tra pastori neozelandesi, muove i suoi primi passi nel teatro con Hair (1979) e in questi anni conosce Tim Curry e Jim Sharman, iniziando a sperimentare un nuovo genere teatrale.

“Negli anni ’70, quando qualcuno mi chiese di organizzare la festa di Natale dello staff agli EMI Film Studios e io mi presentai con una canzone intitolata Science Fiction Double Feature non avrei mai detto che quello era il germe dell’idea che si è trasformata oggi in quello che è The Rocky Horror Show

Così, omaggiando la fantascienza e i B-movie del periodo, comincia il musical contemporaneo più longevo di tutti i tempi, in cui lo stesso O’ Brien recita nel panni del factotum Riff Raff, visto da più di trenta milioni di persone in venti paesi differenti, ma capito da pochi. Andiamo per gradi.

Vi ricordate di Meat Loaf, il compianto autore del concept album del 1977 Bat out of hell? Bene, la nostra storia comincia con lui. Dopo l’album d’esordio del 1971 Stoney & Meatloaf, viene scritturato per il Rocky Horror Show e per interpretare il doppio ruolo di Eddie e del Dr. Scott senza copione alcuno, all’oscuro di tutto.

Un giorno, durante le prove e dopo aver cantato e recitato qualche battuta, vede salire sul palco Tim Curry sulla note di Sweet Transvestite; Meat Loaf si alza, va a casa e abbandona tutto, rifiutandosi categoricamente di far parte di un drag show. Vuole sfondare, ma vuole partecipare a progetti ambiziosi. Riusciranno a convincerlo solo dopo avergli fatto leggere il copione e aver fatto passare lo show per una commedia.

Ebbene, Meat Loaf è stato il primo a non capire nulla del Rocky Horror e lo conferma ai microfoni del podcast sulla storia dell’horror del regista Eli Roth che, alla domanda “Perché credi il musical abbia ancora un grande successo dopo quarant’anni?“, si sente rispondere con un serafico “Perché…mmm…è strano“. Che Dio ti abbia in gloria Meat.

P.S.: nel 1999, accetterà il ruolo di maschio con le tette in Fight Club e nel 2006 sarà l’incazzatissimo padre di Jack Black in Tenacious D e il destino del rock. Progetti ambiziosi diceva.

 

 

Scena film
The Rocky Horror Show

E così, il 16 Giugno del 1973, il Rocky Horror Show fa il suo debutto al Royal Court Theatre di Londra, cui faranno seguito le proiezioni al Chelsea Classic Cinema prima e al King Road Theatre dopo.

Si tratta di un’opera molto particolare che mescola più generi passando dalla fantascienza all’horror e al rock musical, apprezzata da musicisti del calibro di Elvis e Keith Moon degli Who quando sarà portato al Roxy di Los Angeles nel marzo del 1974; affronta temi profondi come la libertà sessuale, con quella goliardia sfacciata che, oggi, è una vera e propria icona.

 

 

…al grande schermo

Il Rocky Horror Show, visto il successo, diventa Picture e arriva anche sul grande schermo tra l’agosto e il settembre del 1975. Sarà un flop inenarrabile tanto da esser spostato alle proiezioni notturne del Waverly Theater di New York, che però riscuotono un discreto successo e, grazie al passaparola, la gente comincia a ritrovarsi al cinema travestita nei modi più bizzarri per godersi il film.

La versione cinematografica cambia rispetto a quella teatrale per ovvie ragioni, ma non tradisce la natura dell’opera anche perché alla regia c’è lo stesso Jim Sharman che, grazie al mezzo cinema, può caricare la pellicola di maggiori sfumature orrorifiche e contare su un montaggio che, a volte, interrompe le parti cantate con quelle dialogate, creando così quel particolare movimento che mantiene alta la concentrazione.

Il cast cambia leggermente: a Meat Loaf viene tolto il doppio ruolo, lasciandogli solo la parte di Eddie, e vengono ingaggiati nuovi attori per i ruoli di Brad e Janet (memorabile l’interpretazione della giovanissima Susan Sarandon che era ancora all’inizio della sua lunga carriera).

 

 

The Rocky Horror Picture Show
Dr. Frank-N-Furter

 

Il set scelto fu il castello londinese di Oakley Court risalente al 1859, vecchia ambientazione per La Sposa di Dracula (1962) e La Lunga Notte dell’Orrore (1966); la struttura molto umida e fredda costò alcuni incidenti imprevisti come la polmonite della Sarandon o i bruschi cali di voce di Hinwood che nelle parti cantate fu doppiato da Trevor White. Inoltre, la location rese impossibile girare le scene di Meat Loaf con la motocicletta che dovette ricorrere a uno stuntman e, quando era ripreso da vicino, sedeva in carrozzella per simulare l’andatura su ruote.

Ci vorrà tempo prima che venga inserito nella categoria camp e riconosciuto come prodotto che inneggiava (per davvero) alla vita vissuta senza pregiudizi e libera da preconcetti, a differenza della falsa retorica e del perbenismo che anima molte pellicole dei giorni nostri (Disney ce l’ho con te, ma non solo). Furono molte le critiche che accompagnarono la pellicola, definita in termini denigratori “per omosessuali” tanto che Ronald Reagan provò a sbarazzarsene in tutti i modi.

 

Il sequel (del sequel)

Nel 1981 Jim Sharman lavora a una nuova sceneggiatura dell’amico O’ Brien e mette in scena il sequel del Rocky Horror, Shock Treatment. Sono presenti vecchie glorie come Patricia Quinn e Nell Campbell, mentre gli attori che interpretavano Brad e Janet cambiano.

La trama segue la vicenda di un magnate dei fast food che si innamora follemente di Janet e, per averla tutta per sé, fa rinchiudere il marito Brad in un manicomio, dicendole che l’uomo, profondamente ammalato, non prova più alcun desiderio sessuale nei suoi confronti. Allora la donna deciderà di diventare una rock star, una mangiauomini senza alcun freno etico e morale, cavalcando l’onda del successo dovuto alla partecipazione di un programma televisivo, in una società dominata dai mass media.

Il film non è riuscito a imporsi come il predecessore, quindi, una decina di anni dopo Sherman lavorò a un altro sequel del Rocky Horror, Revenge of the Old Queen, purtroppo (o per fortuna) non considerato da alcun produttore proprio a causa del flop di qualche anno prima. Fare un sequel del Rocky Horror Picture Show è un’impresa impossibile.

 

Foto sequel
Il cast di Shock Treatment

Tim Curry

Concedetemi due parole su quel grande attore che è Tim Curry. Classe 1946, è un attore, doppiatore (sua è la voce del cancelliere Palpatine nella serie Star Wars: The Clone Wars del 2008), cantante e compositore britannico, celebre per ruoli iconici come Pennywise nella miniserie IT ispirata al romanzo capolavoro di Stephen King, oltre che per il lavoro svolto nel Rocky Horror Picture Show al teatro e al cinema. Pensate che quest’ultimo è stato il primo ingaggio per il grande schermo, cui ha fatto seguito una lunga serie di film.

Quelli della mia generazione lo ricorderanno come Tenebra in Legend (1985) di Ridley Scott, il concierge in Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York (1992) e nei panni del Dottor Petrov in Caccia a Ottobre Rosso (1990).

Nonostante ruoli più o meno impegnati, resterà sempre la migliore versione del Dottor Frankenstein, quella glam con reggicalze e tacchi a spillo che invita a godere del sesso in ogni direzione possibile. E pensare che quando il produttore discografico Lou Adler decise di investire sulla versione cinematografica del musical, fu Mick Jagger a esser scelto come primo interprete del personaggio; quello stesso Mick che fu a un passo dal vestire i panni di Alex DeLarge in Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick.

 

 

Migliori interpretazioni Tim Curry
Tim Curry

A proposito di audizioni mancate, ricordate Steve Martin, il padre della sposa? Era stato ingaggiato per interpretare il ruolo di Brad, poi passato a Bostwick che aveva avuto già esperienza a teatro nei panni di Danny Zuko in Grease del 1972.

Tornando a Tim Curry, nel 2006 partecipa al remake del Rocky Horror per il piccolo schermo diretto da Kenny Ortega (regista di Hocus Pocus del 1993 e di Michael Jackson’s This is it del 2009) rivestendo il ruolo del Criminologo che, nelle versioni precedenti, era la voce narrante della vicenda.

Dal 2012, costretto in sedia a rotelle a causa di un gravissimo ictus, si è ritirato dalle scene e lavora come doppiatore. Nel suo ultimo lavoro ha prestato la voce a Necrofer the Death Bringer per il film animato Dagon: Troll World Chronicles, la cui uscita sarebbe prevista quest’anno.

Durante una delle sue ultime apparizioni, alla Horror Convention di Manchester, è apparso stanco ma sorridente:

“Cerco di guardare alla parte luminosa della vita, perché è noioso e stressante guardare alla parte buia e non è divertente stare con te. Penso sia una responsabilità personale di ciascuno”

 

 

L’attualità del Rocky Horror Picture Show

Con il passare degli anni, anche i più scettici hanno dovuto riconoscere la grandiosità del Rocky Horror, che denunciava in forma goliardica il bigottismo imperante, inneggiando all’amore in tutte le sue forme. Perché, come canta Frankie, “non c’è alcun reato a concedersi al piacere“.

Non è un caso che nel 2005 sia stato inserito nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, assieme a titoli di tutto rispetto come L’Esorcista (1973), Platoon (1986) e Memento (2001).

Perché guardare, almeno una volta nella vita, il Rocky Horror Picture Show?

  • Prima di tutto perché è divertente. Le musiche sono coinvolgenti e la performance degli attori, che cantano e ballano sulle note del glam rock, è di alto livello.
  • In secondo luogo perché se conoscete Tim Curry (si è capito che mi piaccia tanto, si?) vederlo nei panni di Frankie vi confermerà la versatilità di questo grande attore e provocatore sensuale che, grazie alle sue interpretazioni, è diventato icona di trasgressione a livello mondiale.
  • Infine, guardatelo con attenzione e contestualizzatelo agli anni in cui è uscito: erano gli anni Settanta, gli anni della lotta giovanile e delle rivendicazioni di quei diritti ancora negati. Bene, il musical si spinge oltre e si erge come resistenza al perbenismo della classe dirigente che imponeva modelli etici ben definiti da seguire.

 

 

Foto musical
Tim Curry

Il Rocky Horror rompe gli schemi e ci offre un’alternativa alla realtà da vivere senza tabù e rimorso alcuno, accettando il proprio orientamento e i propri desideri. Siamo anche animali ed è giusto, nel limite della condivisione, dar sfogo alla parte più istintiva di noi stessi, abbracciando il diverso e normalizzando qualcosa che, alla fine, si rivela estremamente naturale. Non sognatelo, ma siate tutti Janet e Brad che perdono la loro innocenza e si svegliano a nuova vita, scoprendone una che, con la sfrontatezza della sensualità, abbatte gli stereotipi della borghesia benpensante.

Non è un invito all’anarchia sessuale, ma uno dei modi più semplici per accettare se stessi passando attraverso il proprio corpo e collocandosi in una comunità che ci accolga per quello che siamo. L’opera esalta l’unicità del nostro essere e l’accettazione della diversità, strizzando gli occhi agli outsider e ai ribelli, perché non siamo tutti uguali, non possiamo e non dobbiamo esserlo. Il vero passo in avanti sta nel conoscersi e comprendere l’altro per liberarsi da ciò che soffoca.

 

 

Caccia agli Easter Egg

Piccola curiosità: molti di voi conosceranno il termine Easter Egg, coniato nel 1980 da Steve Wright della Atari, ma secondo alcuni nato proprio dal Rocky Horror perché qua e là sul set sono nascoste delle uova. Più easter egg di così…   le uova dimenticate (volutamente?) sul set dopo che il cast organizzò una caccia nel periodo pasquale, sono tre e si trovano sotto il trono su cui siede Riff Raff, al posto delle luci nel salone del castello e vicino all’ascensore che porta al laboratorio di Frankie.

Non so voi, ma quando guardo un film del genere mi piace scovare tutti i riferimenti alla cultura popolare di massa e il musical, uova a parte, è pieno di omaggi all’arte e alla letteratura, di fatto e cinematografica.

Ve ne dico giusto un paio: le orecchie di Topolino indossate da Columbia mentre spia Janet e Rocky in preda alla passione che divampa e un David di Michelangelo dalle dimensioni falliche davvero spropositate che si vede a inizio pellicola sullo sfondo del set (lo scenografo Brian Thomson aveva da poco visitato l’Italia ed era rimasto affascinato dall’arte pittorica e scultorea del nostro paese). Vi ho già dato qualche indizio per trovare gli altri, ora lascio fare un passo a sinistra e poi uno a destra. Il resto verrà da sé.

 

 

Scena musical
Columbia e Magenta