Tick, tick… Boom! è il manifesto di ogni artista trentenne

Tick, tick… Boom! è l’adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Jonathan Larson, qui interpretato da Andrew Garfield (The Amazing Spiderman, Gli occhi di Tammy Faye). Il film è diretto da Lin-Manuel Miranda e nel cast compare anche Vanessa Hudgens (sì, la Gabriella di High School Musical, ma datele una seconda possibilità).

Il film, come anche il musical dal quale trae ispirazione, è la storia del compositore e drammaturgo statunitense che, a una settimana dai suoi trent’anni, vive ancora squattrinato con il sogno nel cassetto di sfondare nell’industria teatrale. Intorno a lui i suoi amici hanno già cominciato a lasciarsi l’arte alle spalle e fare carriera, mentre lui sente sempre più l’urgenza di riuscire a realizzare il suo sogno. Ce la farà?

 

Chi è Jonathan Larson?

Prima di continuare a parlare del musical diretto da Lin-Manuel Miranda, soffermiamoci un momento sul protagonista. Jonathan Larson è stato un compositore e drammaturgo americano diventato noto per il suo pluripremiato Rent (1996), un musical rock ispirato all’opera lirica La bohème di Giacomo Puccini, ambientato però nella Manhattan della seconda metà degli anni ’90 con protagonisti un gruppo di artisti.

Prima del successo Larson lavorò a diverse opere tra cui Superbia, una sorta di rielaborazione futuristica di 1984 di George Orwell. Iniziò a comporla nel 1983 con l’idea di vederla in scena l’anno successivo, ma non ottenne il permesso della famiglia dell’autore di adattare il libro; tuttavia, prendendo spunto dall’opera e cambiando altre cose, Larson continuò a lavorarci per anni, finché non decise di metterla da parte per dedicarsi ad altri progetti.

Nel 1990 compose il monologo rock Tick, tick… Boom! che attirò le attenzioni del produttore Jeffrey Seller (Hamilton, 2015). Purtroppo Larson morì nel 1996, a trentacinque anni, a causa di una dissezione aortica… il giorno prima del debutto di Rent. L’artista non visse abbastanza per vedere e vivere il successo di quel sogno che aveva inseguito con tanta perseveranza.

 

 

Il vero Jonathan Larson

Tick, tick… Tempus fugit!

Le lancette scorrono veloci. Sempre più veloci ogni anno che avanza. Tick, tick, lo vedi? L’orologio segna i trent’anni, ora sei adulto. Intorno a te amici e vecchi compagni di scuola iniziano a sposarsi, a fare figli. Trovano il fantomatico posto fisso, fanno carriera, comprano casa. I parenti ti chiedono che progetti hai per il futuro. A quando un matrimonio, dei figli? Che lavoro fai? Come ti guadagni da vivere? Tick, tick… Arte? Ma il lavoro vero, intendono loro, non una passione da fare nel tempo libero… se te ne avanza.

Quell’orologio è un rimbombo assordante nella testa di ogni artista. Alcuni di noi sono nati per creare. Buoni a nulla con la testa tra le nuvole? Geni incompresi? Probabilmente un po’ di entrambi. Alcuni di noi hanno l’arte che scorre al posto del sangue, le idee che affollano il cervello, e l’unico modo per metterle a tacere è estrarle. No, in realtà non funziona. Dopo una ce n’è sempre un’altra. E un’altra.

 

Tick, tick... Boom! Una scena del film su Netflix

Il senso di urgenza dell’arte

È una folle corsa alla creazione, a mettere in musica, figure o parole ciò che è visibile unicamente per te. Ciò che esiste solo per te. Non hai tempo da perdere, è una necessità, un’urgenza, la tua. Anche un po’ una droga. Passi il tempo con le dita affondate nel tuo elemento. Che siano tasti di un pianoforte o di un computer, inchiostro colorato o nero, non esiste altro. Quello è il tuo mondo. Quella è la tua vocazione.

È una sensazione che difficilmente si riesce a spiegare a chi non è artista. O meglio, alcune persone quell’urgenza la sentono per farsi una famiglia, per fare carriera, semplicemente per andare avanti. Gli artisti sono in sua balìa per creare. A volte è un mare in tempesta nel quale hai paura di affogare. Altre volte è un oceano freddo, infinito e oscuro nel quale ti senti perso. Qualche volta sono onde che ti cullano mentre il sole ti accarezza la pelle. E il ritmo del film rispecchia esattamente il modo in cui Jonathan Larson (Garfield) si sente mentre sta tentando di portare a termine la sua Superbia e, inconsapevolmente, sta già creando Tick, tick…

 

… Boom!

Quel ticchettio fatto di lancette di orologi, domande di parenti e traguardi di amici è come una sveglia sbattuta nelle orecchie dopo una nottata in bianco su una tastiera. Ciò che per loro è importante, per te non si avvicina neanche lontanamente a come tu vedi il mondo. Perché sì, gli artisti il mondo lo vivono in modo diverso. Dove una persona normale vede il poster di una pubblicità, un artista trova lo spunto per il testo di una canzone. Dove chiunque vede semplicemente delle piastrelle di una piscina comunale, un artista vede uno spartito.

L’ispirazione è ovunque. Nei successi ma molto più nei fallimenti. Nelle relazioni, nella vita di chi ti circonda, in ciò che ti fa star bene e in ciò che ti fa star male. Nella vita quotidiana, quella dalla quale tendi a scappare, ma al tempo stesso cerchi perché non si può scrivere di ciò che non si conosce. Il Boom! arriva proprio quando riesci a fondere ciò che conosci e vivi, con ciò che immagini ed esiste solo nella tua testa. Se sei bravo, riesci veramente ad arrivare allo stomaco delle persone, a trasportarle nel tuo mondo, a far provare loro ciò che provano i tuoi personaggi. Tick, tick… Boom! ci riesce in pieno. Soprattutto se sei un artista, ti parla.

 

 

La scena della piscina in Tick, tick... Boom!

Il manifesto di ogni artista trentenne…

Il film è ambientato nel 1990, ma è paurosamente contemporaneo. Concedetemi una piccola nota dolorosa per tutti i trentenni alla lettura: sì, ormai siamo vintage. I dubbi, le frustrazioni, le difficoltà degli artisti non sono mai cambiate. Jonathan deve cercare di trovare un equilibrio tra la sua follia creativa e pagare le bollette. Deve scendere a patti con l’amico che ha appeso al chiodo i suoi sogni scambiandoli per un completo giacca e cravatta e un attico. Con la fidanzata a cui è stato proposto il posto fisso in un’altra città e gli chiede di seguirla.

Che deve fare? Dirle che non vuole lasciare New York e le labili possibilità che ha di sfondare nell’Off-Broadway, oppure prendere come esempio l’amico e seguirla? O forse è semplicemente arrivato il momento di separare le due strade? Tutti sembrano essere arrivati alla conclusione che è tempo per loro di crescere, di diventare adulti, di fare gli adulti con macchine, case e lavori in azienda. Lui passa le nottate a rincorrere le note.

 

… alla ricerca del silenzio

C’è qualcosa che gli martella nella testa. Che pulsa, che gli rende impossibile fissare il chiodo nel muro. Il suo unico chiodo fisso è completare Superbia. Ha passato gli ultimi anni, i suoi vent’anni, su quell’opera. E gli manca solo una canzone per completarla. Ma quella canzone non ne vuole sapere di diventare musica e parole. È solo urgenza, è solo tempo che scorre, è solo un senso di vuoto che deve essere colmato. La ricerca del silenzio, seppur per un breve attimo.

Non è l’idea giusta. E lo sa, lo sente nel profondo, ma non vuole ammetterlo. Mentre cerca l’illuminazione per quella canzone, il suo stomaco è già all’opera per creare altro. La sua mente gli fa cogliere tutta l’ispirazione che gli serve, ma lui deve capire dove reindirizzarla. Cosa ha dentro che sente il bisogno di tirare fuori? Per cosa e come vuole essere ricordato? Cosa vorrebbe gridare al mondo? Tick, tick… e mentre il tempo fugge, e tutti sembrano aver fatto pace con la vita da adulti, lui non riesce a fare altro se non chiedersi “Quanto tempo ho per creare qualcosa di grande?

 

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