Nonostante siano universalmente detestati dai giocatori di tutto il mondo, esistono cliché che sembrano ripetersi inevitabilmente in quasi ogni videogioco. Che sia una scelta consapevole o un’abitudine radicata?
Parlando con numerosi appassionati di videogiochi, abbiamo stilato una lista delle situazioni più odiate nei loro titoli preferiti. Questa classifica non si limita a evidenziare ciò che suscita maggiore frustrazione, ma vuole anche stimolare una riflessione tra gli sviluppatori che la leggeranno (si spera).
E, perché no, speriamo anche di strappare qualche risata lungo il percorso.
ATTENZIONE: Nessun videogiocatore è stato maltrattato durante la realizzazione di questo articolo.
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ToggleLe censure nei videogiochi

Come è accaduto per molti altri prodotti destinati al grande pubblico, anche i videogiochi sono stati spesso al centro di critiche e polemiche. Queste critiche hanno portato a modifiche, restrizioni e censure, con l’intento di non urtare la sensibilità di nessuno.
Ad esempio, nella versione occidentale di numerosi giochi giapponesi, come Xenoblade Chronicles X, il gioco di ruolo che ha come sfondo un mondo di Robottoni, è stata rimossa la possibilità di personalizzare la taglia del seno dell’avatar femminile, come se l’atto stesso di offrirne la scelta potesse sembrare problematico. Questo cambiamento, quasi come a suggerire una discriminazione verso determinate fisicità, è solo uno degli aspetti che vengono spesso modificati. Scene di violenza, riferimenti religiosi o qualsiasi accenno a eventi reali vengono frequentemente attenuati o eliminati del tutto, con l’intento di proteggere soprattutto i più giovani.
Il vero problema, però, è che la protezione dei minori dovrebbe essere compito dei sistemi di classificazione come il PEGI (Pan European Game Information), che classifica i giochi in base all’età e ai contenuti sensibili, come violenza, droga o riferimenti sessuali. I simboli e i numeri sulle confezioni sono pensati proprio per orientare i consumatori e garantire che i giochi siano adatti al pubblico a cui sono destinati.
In realtà, spesso sono gli adulti, più che i giovani, a richiedere modifiche che risultano, a volte, ingiustificate e troppo invasive. Come successo con i nuovi giochi di Wolfenstein (che dovete assolutamente giocare): in Germania sono state rimosse tutte le svastiche, i riferimenti alla nazione di provenienza di determinati personaggi, e addirittura i baffi ad Hitler!
Pare che i baffi del Fuhrer di Wolfenstein siano finiti sull’ultimo modello delle Puma. Ma questa è un’altra storia.
Missioni di scorta

Esistono giochi che puntano sulla varietà delle missioni come uno dei loro principali punti di forza, ma troppo spesso ci troviamo a dover affrontare quelle che sono vere e proprie rotture di scatole: le missioni di scorta. Ma cosa sono, esattamente? Semplice: dobbiamo accompagnare un personaggio (di solito insopportabile) da un punto A a un punto B, percorrendo lunghe tratte che spaziano dalla noia più assoluta alla pura follia.
Questi tragitti possono essere interminabili strade che ci fanno solo perdere tempo, oppure veri e propri campi di battaglia pieni di pericoli. Un esempio lampante è Resident Evil 4: l’intero survival horror di Capcom si basa su una missione di scorta infinita. E nel Remake di RE 4, questo aspetto è stato anche annacquato!
Per gran parte del gioco, il nostro compito sarà proteggere Ashley, la figlia del Presidente degli Stati Uniti rapita da una setta malvagia, che non smetterà mai di gridare “LEON!” ogni due per tre. E non so voi, ma per tutti i giocatori che abbiamo intervistato, dover proteggere quella ragazzina dalla sua vocina stridula ha avuto un impatto devastante sul sistema nervoso.
Tutorial lunghi e obbligatori
Alcuni giochi propongono tutorial che risultano troppo lunghi ed estenuanti. Un esempio è Red Dead Redemption 2, che ci introduce a un tutorial di quasi cinque ore per spiegare ogni singola meccanica che potremmo usare durante l’avventura. In questo caso, la durata può anche essere giustificata, considerando la complessità del gioco.
Il vero problema, però, si verifica con giochi che ci costringono a passare ore interminabili a “imparare” le solite meccaniche già più che familiari: muovi la levetta sinistra per camminare, usa la levetta destra per guardarti attorno, premi A per interagire con i PNG… e così via, senza la possibilità di saltare questa lunga introduzione.
Ci sono poi titoli che, al contrario, rinunciano completamente ai tutorial, come Dark Souls, e altri in cui semplicemente non sono presi in considerazione, come Cuphead. Quest’ultimo rappresenta il modello ideale di tutorial: breve, chiaro e intuitivo. Eppure, sembra che pochi sviluppatori ne facciano caso.
Pay to win and play

Pagare per vincere? Oggi è una realtà. Il piacere di videogiocare per ottenere risultati meritati è diventato obsoleto e facilmente aggirabile con un piccolo investimento. Un tempo, i giochi “pay to win” sembravano limitati al mondo mobile, ma negli ultimi anni sono arrivati anche su console e PC. Una pratica odiata da molti ma amatissima da altri, che toglie il divertimento a chi vuole semplicemente giocare senza dover pagare per progredire o raggiungere livelli alti senza impegnarsi.
La situazione peggiora ulteriormente con giochi che obbligano il giocatore ad acquistare frammenti di trama. In Final Fantasy XV, per esempio, per avere una visione completa della storia, siamo costretti a comprare tutti i contenuti scaricabili. E in Asura’s Wrath è ancora peggio: il finale del gioco è disponibile esclusivamente tramite acquisto nello shop. Per non parlare dei Remake di Final Fantasy VII, dove la storia è stata divisa in tre giochi separati.
Non era forse più bello quando si comprava un gioco e si trovava un’esperienza completa, senza dover sborsare ulteriori soldi per vivere tutta la storia?
I livelli subacquei

Non tutti sono d’accordo sui punti precedenti, ma c’è una cosa su cui tutti i videogiocatori sembrano essere unanimi: i livelli subacquei. Nuotare è un’attività meravigliosa nella vita reale, ma nei videogiochi diventa un vero e proprio supplizio. Tutto rallenta, l’ambiente diventa oscuro e claustrofobico, e di solito abbiamo pochissimo tempo prima che il nostro personaggio affoghi.
Nonostante i grandi progressi nel realismo e nella fisica dei videogiochi (almeno in alcuni titoli), il nuoto sembra essere rimasto un aspetto trascurato nell’evoluzione del gameplay. Non so voi, ma ogni volta che il mio personaggio è costretto a tuffarsi in un fiume, un lago o una pozza d’acqua per proseguire, mi prende un’ansia irrazionale. Quando si tratta di cercare collezionabili sommersi, li ignoro volentieri, ma troppo spesso siamo obbligati a giocare interi livelli subacquei per continuare la trama.
Vorrei fare un appello ai programmatori: Non costringete il nostro soldato o cavaliere a tuffarsi in acqua con armature e armi, solo per una “nuotatina” che finisce per appesantire l’intera esperienza di gioco.