Il primo film delle Tartarughe Ninja: cinefumetto alla riscossa

Ora che è arrivata al cinema una nuova incarnazione delle Tartarughe Ninja, e dato che siamo anche alla soglia dei 40 anni dalla creazione di questo fortunato franchise, mi è sembrata l’occasione giusta per chiedersi “Qual è la migliore versione cinematografica del celebre quartetto di guerrieri dal guscio tosto e divoratori seriali di pizza?”. E perché proprio Tartarughe Ninja Alla Riscossa?

Per avvalorare questa tesi prenderò in esame gli aspetti che hanno reso il film del 1990 – in originale intitolato Teenage Mutant Ninja Turtles, come il fumetto – un caso per certi versi unico, in cui il risultato finale ha coniugato qualità e successo contro tutti i pronostici.

 

Teenage Mutant Ninja Turtles
La locandina originale d’epoca

 

Centro al primo colpo

Sono finiti abbastanza presto i tempi in cui eravamo convinti che con i potenti mezzi e le risorse dell’industria cinematografica moderna certe storie sarebbero state raccontate meglio rispetto al passato. Certo, le possibilità di vedere nuovi e sconfinati mondi sul grande schermo sono aumentate a dismisura, ma negli ultimi due decenni abbiamo imparato sulla nostra pelle di spettatori che computer grafica e tanti soldi non si traducono necessariamente in migliore qualità.

Dal trionfo, economico e culturale, del Superman di Richard Donner e del Batman di Tim Burton Hollywood non aveva imparato granché, ma svariati produttori erano saliti sul carro e avevano tentato di replicare quella formula negli anni successivi, creando così il primo, discontinuo, filone di cinefumetti. La piccola differenza è che invece di ingaggiare autori e registi promettenti, investire budget adeguati e mantenere punti di contatto con i fumetti, queste trasposizioni venivano fatte con superficialità e pigrizia.

Eppure, dicevamo, in quella prima ondata di cinefumetti ante-litteram emerse un piccolo gioiellino, Teenage Mutant Ninja Turtles. Si trattava della seconda trasposizione dell’omonimo fumetto di culto creato da Kevin Eastman e Peter Laird, dopo la fortunata serie animata del 1987, ed è riuscita laddove in seguito tante altre operazioni simili hanno fallito: la prima versione live-action sulle quattro tartarughe ninja mutanti ha rispettato l’opera di partenza, adottandone l’estetica senza risultare pacchiana, ha accorpato e miscelato con successo più versioni della stessa storia, e ha soddisfatto sia il pubblico generalista e la critica sia i fan duri e puri.

 

Peter Laird & Kevin Eastman
I creatori delle tartarughe Ninja, Peter Laird e Kevin Eastman, in posa con Leonardo durante la produzione del film

 

Il meglio dei due mondi

La mole di trasformazioni e restyling che le Turtles hanno affrontato nel corso degli anni è considerevole, ma tenendo presente che le origini risiedono nella serie a fumetti del 1984 è più che consono che siano queste le basi del confronto. Anche perché di fatto le storie originali sono diverse da qualsiasi altra iterazione di questi personaggi.

Il film del 1990 diretto da Steve Barron senza girarci attorno è un adattamento del primissimo numero del fumetto Teenage Mutant Ninja Turtles (TMNT). Gli sceneggiatori avevano preso la saggia decisione di non ingolfare la pellicola mescolando decine di storyline; ci sono certamente degli input dai numeri successivi (il personaggio di Casey Jones ad esempio, interpretato egregiamente dal mai troppo celebrato caratterista Elias Koteas, e la stessa April O’ Neil, impersonata dalla splendida Judith Hoag), così come vi sono alcune licenze rispetto alla storia originale, ma la trama è pressoché incentrata sull’incipit della serie fumettistica: la rivalità tra il maestro Splinter e il suo arcinemico Shredder, con quest’ultimo deciso ad annientare il saggio guerriero e i suoi quattro discepoli.

 

Mirage TMNT
La celebre splash page dal primo numero di TMNT.

 

Scontato, direte, ma molti magari non sanno che TMNT #1 di fatto apriva e concludeva subito questa faida senza troppi fronzoli, pertanto il film poteva prendersi i suoi tempi per delineare il contesto e i personaggi, aggiungendo poi elementi di contorno e Easter egg ad arricchire il tutto. Tra questi ultimi vi sono appunto i rimandi alla summenzionata serie animata, il che ci porta al secondo obiettivo centrato dal film: la versione cinematografica unisce il meglio dei due mondi in maniera impeccabile.

In tv come è noto le tartarughe erano diventate una famiglia di scalmanati mattacchioni protagonisti di avventure autoconclusive a suon di “tartafurgone”, “cowabunga!” e pizza come se non ci fosse un domani, componenti che ancora oggi identificano il brand per tantissimi fan; i fumetti originali di Eastman e Laird al contrario nascevano con un approccio più grezzo e cupo, seppure l’idea era germogliata da una sorta di parodia di Daredevil.

L’adattamento di Barron in primis pesca a piene mani dalle tavole del fumetto, dalle quali riprende non solo il dinamismo – sul quale torneremo dopo – ma soprattutto le atmosfere. Nei disegni di TMNT New York è spesso inquadrata dal basso, ma quando le tartarughe scendono dai tetti si intravedono scorci fatiscenti di quartieri desolati. Le scenografie del film fanno respirare quella stessa aria, ma in generale tutto il lavoro di production design è stato particolarmente ispirato nella scelta e nell’allestimento delle location (le fognature in cui vivono Splinter e le tartarughe, la fattoria abbandonata di April, il covo del Clan del Piede…); non a caso alcune di queste sarebbero state riutilizzate in film esteticamente affini come Il Corvo e Super Mario Bros.

 

Locations

 

La regia e le musiche fanno il resto, enfatizzando i lati tetri e riflessivi della storia tanto quanto quelli più ironici. La colonna sonora esprime appieno questo dualismo: se all’inizio l’apertura musicale del film sembra alludere a un fosco thriller urbano, alcuni minuti dopo il pop e il funk prendono il sopravvento con lo scoppiettante tema principale, che accompagna l’arrivo delle tartarughe sullo schermo.

E qui ritorniamo sul punto perché il film come si diceva è in parte anche debitore della prima serie animata: il carattere demenziale di Michelangelo, il ruolo di April, l’ossessione per la pizza e altri piccoli dettagli, tutto sapientemente dosato, con parentesi di comicità inserite nei punti giusti a bilanciare i toni (tutt’altro che scherzosi) che l’opera adotta, creando come si diceva il perfetto mix tra le due anime del franchise. Lo stesso Kevin Eastman ha ribadito questo concetto in una recente e corposa intervista:

Steve Barron, come una forza motrice, ha letto e amato per davvero gli originali fumetti in bianco e nero, e ha completamente capito la versione animata delle tartarughe. Ha tirato fuori quella miscela perfetta di entrambi i mondi, adattando entrambe le visioni così da avere un film che non è più stato replicato a dovere da allora.

 

Da MTV con furore

La regia non solo mantiene un incredibile equilibrio tra tutte quelle caratteristiche passate in rassegna, ma riesce nell’impresa più ardua che un progetto del genere presentava: rendere credibili quattro tizi che menano e saltano con indosso dei costumi incredibilmente ingombranti. Dunque chi è l’artefice di questo piccolo miracolo? Lo stesso tizio che ha diretto il videoclip musicale più iconico di sempre:

 

 

Ebbene sì, Steve Barron prima di approdare al cinema si era fatto le ossa con svariati lavori televisivi per molte star della musica (David Bowie, Madonna, Fleetwod Mac, Bryan Adams…), mettendo la firma su video che hanno fatto la storia del piccolo schermo, come Take On Me degli A-Ah, ma anche il celebre Money For Nothing dei Dire Straits (che oltre a inaugurare l’arrivo di MTV in Europa fu anche uno dei primi esperimenti di animazione in computer grafica); in più aveva lavorato come cameraman per pellicole come I Duellanti di Ridley Scott e, guardacaso, Superman di Richard Donner.

Il buon Barron insomma aveva inventiva da vendere e un curriculum niente male, e peraltro aveva esordito sul grande schermo proprio nello stesso anno in cui nei circuiti underground statunitensi veniva dato alle stampe TMNT #1. Era destino che lui e le tartarughe ninja incrociassero le loro strade, e grazie al suo apporto il passaggio dalla carta alla celluloide è filato liscio come l’olio; dietro le quinte un po’ meno, poiché sia Barron che l’addetta al montaggio Sally Menke (che dopo questo esordio sarebbe diventata famosa come montatrice dei film di Quentin Tarantino) sarebbero stati licenziati verso la fine della produzione per divergenze sul final cut.

Qual è stata quindi la combinazione vincente per la messa in scena? Prima di tutto il sapiente utilizzo di alcuni trucchi del mestiere, che hanno consentito alle tartarughe di interagire con gli altri personaggi in maniera fluida: Barron girò le sequenze di dialogo e di combattimento a 23 e 22 fotogrammi al secondo; una volta riprodotte alla normale velocità (24 fotogrammi) le scene restituivano la necessaria agilità ai pesanti costumi e una corretta espressività agli animatronic installati dentro le maschere per muovere occhi e bocca. Questo senza nulla togliere al lavoro dei performer – che hanno comunque dovuto letteralmente sudare di fronte alla cinepresa, compiendo acrobazie tutt’altro che semplici in quelle circostanze – e dei costumisti e tecnici che hanno realizzato i costumi.

 

Raffaello
La manodopera della Golden Harvest in azione

 

Il secondo ingrediente segreto fu proprio l’ingaggio di un intero team che desse vita alle tartarughe in ogni singolo aspetto, ovvero stuntmen, doppiatori e “burattinai”. Ogni tartaruga necessitava infatti di manodopera su più fronti, dall’elettronica dei caschi al costume intero, dalla voce alle movenze. Solo per Donatello ad esempio ci sono volute quattro persone (cinque se contiamo chi gli prestava la voce): una per le sequenze standard, una per le scene di lotta (Ernie Reyes Jr., che nel sequel avrebbe interpretato il personaggio di Keno), una per controllare i movimenti facciali, e una per le scene in cui gira in skateboard!

Tutto ciò è stato possibile grazie al contributo di due compagnie che per anni si erano fatte le ossa rispettivamente sul genere arti marziali e appunto sui burattini: la (ex-) Golden Harvest era lo studio di produzione che per decenni aveva realizzato svariati cult e capolavori del cinema di Hong Kong, action e non solo (dai film di Bruce Lee a quelli di Jackie Chan e Sammo Hung, e tanti altri), perciò quando decise di co-finanziare il film mise al servizio di Barron un team di acrobati e stuntmen di tutto rispetto. E poi c’era il Jim Henson’s Creature Shop, ovvero la compagnia fondata dal papà dei Muppet.

 

Rane parlanti e tartarughe mutanti

 

Jim Henson
A sinistra col cappello Jim Henson, mentre il capellone è il regista Steve Barron. Assieme a loro tutte le tartarughe coi costumi definitivi

 

Jim Henson ci ha lasciato troppo presto. Sarcasticamente si potrebbe dire che ha abbandonato questo mondo proprio quando il suo lavoro ha cominciato a dare i primi segni di obsolescenza, con l’avvento della computer grafica che di lì a poco avrebbe reso superflui e costosi i costumi di gomma, il trucco prostetico, le marionette, i matte painting, ecc. Tuttavia la sua immaginazione ha lasciato un segno indelebile e trasversale nella cultura pop, grazie a serie tv (Sesame Street, The Muppet Show) e film (The Muppet Movie, The Dark Crystal, Labyrinth) che oggi più che mai ci restituiscono quel fascino artigianale indissolubilmente legato agli anni ’70 e soprattutto agli anni ’80.

Teenage Mutant Ninja Turtles ha rappresentato perciò il lavoro più avanzato e all’avanguardia al quale Henson si sia mai dedicato. Lontano dai fasti fantasy delle pellicole da lui dirette pochi anni prima, questo adattamento cinematografico era per lui l’occasione di spingere ulteriormente i limiti della sua factory, il Jim Henson’s Creature Shop: una fucina di talenti che annovera burattinai, costumisti, scenografi, tecnici di effetti speciali; una squadra che fin dalla sua creazione nel 1979 si era rinnovata e ampliata perfezionando negli anni la tecnica e la bravura nel rendere vivo sullo schermo ciò dietro le quinte è inanimato.

A Henson e ai suoi collaboratori venne quindi commissionata la realizzazione dei costumi di scena per le quattro tartarughe e per il maestro Splinter. Costumi che fossero abbastanza pratici da permettere agili movimenti, e soprattutto degli animatronic in grado di fornire un’espressività convincente ai volti dei personaggi. Il risultato è eccellente ancora oggi, alla faccia dei tartarugoni digitali:

 

 

Questo è dunque il lascito di uno dei più estrosi artisti dell’industria dell’intrattenimento. Henson purtroppo morì alcune settimane dopo l’uscita del film, a soli 53 anni. Sebbene non fosse particolarmente soddisfatto della produzione, per via della sua estraneità a un tipo di prodotto così “violento”, aveva accettato di lavorare anche al sequel. Così fu il figlio Brian, una volta prese le redini del Creature’s Shop e della Jim Henson Company, a portare a termine la collaborazione per Teenage Mutant Ninja Turtles 2: The secret of the ooze; il sequel è stato meritatamente dedicato a suo padre.

 

Tanto cuore dentro il guscio

Si è parlato fin qui della tecnica, dello stile, dell’approccio, ma una caratteristica spesso sottovalutata di TMNT è il suo nucleo tematico, imperniato sui concetti di famiglia e spiritualità. Nonostante l’aspetto grottesco che pervade il film, ci sono diversi momenti in cui la storia si prende molto sul serio, conferendo notevole spessore ai personaggi e al loro arco narrativo.

Il concetto di famiglia nel film viene esplorato con la contrapposizione tra le tartarughe e i guerrieri del Clan del Piede. Questi ultimi arruolano nelle loro fila ragazzi disadattati ed emarginati che hanno abbandonato le famiglie di provenienza, e il supporto alla nefasta causa del Clan viene ripagato col libero sfogo in un paese dei balocchi post-moderno appositamente creato per facili distrazioni. In una delle sequenze più belle del film – l’entrata in scena di Shredder – viene esplicitata la loro sudditanza nei confronti del cattivo, che si autoproclama padre per tutti loro.

 

Tartarughe ninja

 

L’altro padre adottivo nel film è ovviamente Splinter, che ha cresciuto Leonardo, Michelangelo, Raffaello e Donatello instillando in loro non solo l’arte del ninjutsu e nobili ideali, ma anche l’importanza del loro legame, dal quale scaturisce la loro più grande forza. Quando si ritrovano senza la guida del loro maestro le tartarughe sono disorientate e sul punto di sfaldarsi come famiglia e come squadra, ed è lì che l’opera dà il suo meglio: tutta la parte dell’ “esilio” fuori città, dove i protagonisti devono guarire le loro ferite (fisiche ma soprattutto interiori), meditare e ritrovare l’equilibrio, è un concentrato dei pregi della pellicola e indubbiamente uno dei suoi punti più alti.

La componente spirituale della storia emerge anche in altri piccoli ma sentiti momenti, come ad esempio la commovente scena in cui Raffaello al cospetto di Splinter deve fare pace coi suoi demoni e domare la sua indole rabbiosa. Ripensando a queste scene è sconcertante notare quanti pochi altri cinefumetti nel corso degli anni siano riusciti ad amalgamare così bene serietà e humor, caratteristica che fa di Teenage Mutant Ninja Turtles una delle virtuose eccezioni di questa categoria, un prodotto di intrattenimento spensierato ma con un gran cuore, in grado di comunicare con intelligenza e mano sapiente i suoi messaggi.

 

Una difficile eredità

Teenage Mutant Ninja Turtles all’uscita nelle sale fu una delle rivelazioni dell’anno, e con i suoi 202 milioni di dollari diventò il film indipendente col maggiore incasso di sempre. Questo accadeva nel 1990, periodo in cui le trasposizioni di fumetti non erano ancora così popolari, e a fronte di un budget di 13 milioni. Il reboot è arrivato nel 2014 e ha sfiorato i 500 milioni dopo averne spesi però 125 per la produzione, giusto per dare l’idea di quanto fu eclatante il risultato dell’originale.

Un successo che a conti fatti non fu bissato da nessun altra versione cinematografica del franchise. Né i sequel diretti (tra cui tecnicamente si annovera anche il film d’animazione del 2007) né i due capitoli del reboot prodotti da Michael Bay. E se per alcuni di questi il livello qualitativo era ancora sufficiente – il già citato Il Segreto di Ooze – per gli altri il calo era evidente sotto tutti i punti di vista, non solo quello esclusivamente commerciale.

Difficile dire se e quando un nuovo film della saga riuscirà a tornare ai fasti dell’eccellente capostipite, ma come si accennava più su, il bello di questo franchise è che comunque non ha mai smesso di reinventarsi e soprattutto ha dato a tutti la propria versione preferita delle Tartarughe Ninja. Pertanto non ho altro da dire che questo, se l’uscita di Tartarughe Ninja: Caos Mutante ha risvegliato in voi la turtle-mania, è decisamente un buon momento per rivisitare Teenage Mutant Ninja Turtles, uno dei più bei cinefumetti di sempre. COWABUNGA!!!

 

Cowabunga

 

Se volete saperne di più sull’affascinante storia delle Tartarughe Ninja, abbiamo l’articolo che fa per voi, e per chi volesse recuperare i fumetti originali si possono acquistare i volumi della serie del 1984 qui o direttamente sulla pagina dell’editore italiano; in alternativa potete provare anche l’ottima serie reboot rilanciata dal co-creatore Kevin Eastman nel 2011, e ristampata in versione deluxe da Panini Comics. Il film del 1990 ahimè non è disponibile in italiano né in dvd né in blu-ray, ma attualmente potete guardarlo in streaming tramite Prime Video assieme ai due sequel.