The Americans: Macigni di patriottismo

The Americans è una serie nata nel 2013 e incentrata sulle vicende di Philip ed Elizabeth Jennings. I protagonisti sono due agenti del KGB che, durante il periodo della Guerra Fredda, vengono inviati sotto copertura a Washington per boicottare dall’interno il nemico giurato della loro patria, gli Stati Uniti.

Nel tempo sono state diverse le produzioni che hanno provato ad esplorare, a livello narrativo, il contorto e spigoloso territorio dello spionaggio. Poche serie però hanno saputo realmente spiegare con meticolosità la pressione a cui una spia è sottoposta, ma soprattutto le difficoltà quotidiane di dover costantemente indossare una maschera senza potersi permettere un momento di genuinità.

Come detto, serie a tema spionistico ne sono state prodotte a iosa, ma sicuramente due su tutte hanno saputo catturare l’attenzione del pubblico come nessun’altra nell’ultimo decennio: The Americans (oggetto di questo articolo) e Homeland.

 

Homeland

 

Homeland è incentrata sulla CIA e sul suo sistema burocratico. Lo show segue le azioni di agenti addestrati a smascherare le spie, identificarle e metterle con le spalle al muro, per farle collaborare forzatamente o volontariamente con il sistema di controspionaggio americano.

The Americans invece rappresenta pienamente l’ideale, la fedeltà cieca alla bandiera senza mai obiettare o porsi il dubbio se la missione sia giusta o sbagliata. Conta solo eseguire gli ordini per servire un bene superiore.

 

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Voglio soffermarmi un attimo sul confronto tra The Americans e Homeland per una curiosa similitudine – non tanto casuale – su cui entrambe le serie si fondano: quella cieca fedeltà alla propria nazione, vero ingrediente segreto per insaporire la qualità della trama e caratterizzare al meglio i personaggi che ci vengono presentati nel corso delle rispettive stagioni.

Nel caso di The Americans questo senso di patriottismo viene amplificato all’inverosimile, vuoi anche perché il momento storico in cui è ambientata la serie – la presidenza Regan – inasprisce ancor di più i già precari rapporti diplomatici.

Una battaglia, quella tra due ideologie diametralmente opposte, che pone la lente d’ingrandimento sullo stato russo e la conseguente missione affidata ai suoi devoti infiltrati: manomettere gli ingranaggi della macchina capitalista.

Granelli che salvaguardano la distesa di sabbia

Priorità, una parola che può voler dire tutto o nulla a seconda del tipo di scopo che ci prefiggiamo e a quello che siamo disposti a fare. Se ve ne fosse bisogno anche a sacrificare tutto, pur di riuscire nell’opera. Tutto sta nelle prospettive, quello che ti mostrano e che sogni di scrutare soprattutto quando l’unico bene che possiedi è un granitico credo.

Per capire The Americans e la radicale ideologia instillata nei meandri più profondi dei cervelli di Elizabeth e di Philip, bisogna innanzitutto conoscere il loro doloroso passato e il conseguente desiderio di perseguire uno scopo più nobile che il semplice vivere alla giornata.

Quando la miseria più nera ti avvolge e sei costretto a lottare per mettere sotto i denti qualcosa di commestibile, allora e solo allora, in quell’esatto momento… sei costretto a fare una scelta: lottare per la tua gente e poter contribuire al cambiamento, o continuare una battaglia miserevole tra cani randagi per un tozzo di pane.

 

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“Sono cresciuta in una  piccola  città che si chiama Smolensk. È stata quasi completamente distrutta durante la  guerra. La  seconda guerra mondiale. Quando è finita avevo solo due anni, ma crescere lì è stato duro, intorno a me non c’era altro che distruzione. E chi era sopravvissuto lo aveva fatto con poco cibo, al freddo e tra le battaglie. Hanno lavorato tutti insieme e hanno  reagito, in qualche modo. Penso di aver voluto essere sempre come loro. In qualche modo. Reagire.”

 

A quel punto l’imprinting da parte del sistema è già in atto, ne diventi devoto figlio, assuefatto più della nicotina o del caffè: un amore che giustifica ogni azione perpetrata dai burocrati alla guida del grande meccanismo nazionale che fieramente rappresenti.

Il fine giustifica sempre il mezzo, mantra che ripeti costantemente fino a convincertene, neanche fossi un devoto credente. Un concetto – quello che lo Zio Sam sia il male – instillato fin dalla più tenera età, che ti vede in prima linea nell’opera di provare a frantumare l’ideologia capitalista; un onore per te che sei il prodotto distorto della cultura marxista.

 

Conosci il tuo nemico per abbatterlo

Ricolleghiamoci nuovamente alla sinossi di The Americans: Philip ed Elizabeth (all’anagrafe Misha e Nadezda) sono due spie inserite tramite il Direttorato S – il servizio di intelligence internazionale predisposto a infiltrare i propri agenti – nello strato sociale statunitense, grazie a una copertura che li vede interpretare il ruolo dei coniugi Jennings.

 

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Grazie al raggiro messo in scena, questo prototipo di “buon vicinato della porta accanto” riuscirà a costruirsi una credibilità tale da superare addirittura gli iniziali sospetti del loro dirimpettaio. Ovviamente in aggiunta alle pericolose e delicate missioni gli sceneggiatori hanno pensato di inserire un elemento di disturbo, per arricchire una storia già di per sé carica di tensione: far trasferire un federale nello stesso quartiere, l’agente Stan Beeman.

Le ripercussioni psicologiche, e soprattutto i sensi di colpa, si riveleranno elementi chiave di questa serie, che andrà a scavare sempre più nei meandri della fragile psiche di una coppia che non dovrebbe esternare alcun brandello di emotività. Nadezda e Misha si scopriranno più umani di quanto possa essere loro concesso, anche per il legame con i loro figli.

Misha in particolare sarà più volte divorato dallo schiacciante desiderio di mollare tutto per poter vivere un vero contesto di normalità con famiglia.

 

Rischi non calcolati

Altro argomento su cui si regge la qualità del prodotto è sicuramente il modo in cui ci viene raccontata la farsa da questi agenti del KGB, non tanto analizzando il rapporto coniugale, quanto quello di nucleo familiare. Ignari dell’oscuro segreto dei loro genitori, Paige ed Henry sono vittime inconsapevoli, sin dal loro concepimento, messo in atto per poter rendere più credibile la recita dei genitori.

Qualsiasi causa, per quanto importante, non potrà mai avere più valore di un figlio, almeno per come la maggior parte del mondo razionale. Ma in The Americans questo sacro principio viene spodestato dall’ingombrante e prioritario senso patriottico.

Anche gli stessi rapporti tra figli e genitori sono molto meccanizzati e stereotipati all’interno di questo microuniverso famigliare. Paige viene seguita con più interesse da Elizabeth, mentre Henry (che in realtà risulta un elemento fuori posto ed estraneo al contesto) sviluppa un rapporto più confidenziale con Philip.

 

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L’elemento famigliare è senza alcun dubbio la grande disputa ideologica tra i due coniugi, che li vedrà spesso scontrarsi, armati di punti di vista diametralmente opposti. Come si diceva prima, è il marito a dimostrare sin dal principio (da quando è diventato genitore) un maggiore senso di protezione, rispetto alla moglie.

Senza alcun dubbio la contrapposizioni ideologica è una delle colonne portanti su cui si fonda The Americans: il totale ripudio del contesto capitalista di Elizabeth da una parte, e il desiderio di integrazione di Philip per poter ambire a una vita migliore dall’altra.

 

Strati su strati

Arriviamo ora al pezzo forte, il cardine che regge la struttura ella serie. Come tutte le serie che parlano di agenti sotto copertura, questo prodotto spiega in maniera minuziosa il modus operandi della spia. Oltre a questo si concentra anche sull’elemento politico e i vari livelli gerarchici che operano all’interno dei servizi segreti.

Philip ed Elizabeth vengono dipinti come due formiche laboriose che eseguono ogni ordine senza mai obiettare, dimostrando un innegabile talento in questo lavoro. Ingannare è sicuramente la principale arte che adoperano per la riuscita delle delicate missioni affidategli, se a ciò poi aggiungiamo le messinscene architettate – facendo leva su tecniche di manipolazione di ogni genere – per raggirare la pedina prescelta di turno, il gioco è fatto.

 

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Non importa che tipo di implicazione vi sia alla base (amicizia, sesso occasionale o vere e proprie relazioni sentimentali), conta solo il successo della missione; le ripercussioni psicologiche subite dalla vittima non sono tenute minimamente in considerazione.

Perché il senso di colpa nei duri animi dei figli più devoti della Russia non è un’opzione: troppo concentrati, “giustamente”, sulle necessità rivolte alla moltitudine per poter pensare egoisticamente al dolore del singolo. Bisogna però sottolineare come su tale aspetto i coniugi Jennings dimostrino visioni contrapposte, che in più momenti aumenteranno la tensione e metteranno a rischio l’equilibrio del quieto vivere.

Proprio per l’empatia che Philip svilupperà stagione dopo stagione, Elizabeth paleserà una certa irritazione. La donna arriverà al punto di disapprovare la debolezza emotiva del marito, reo di essere poco devoto alla causa che hanno giurato di perseguire a ogni costo.

 

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Ad esempio il rapporto di amicizia che Philip instaura con Stan Beeman – suo vicino e agente del bureau – è un pregevole esempio di come la capacità di adattamento lo spinga ad approfittarsi dell’ingenuo federale, benché come sottolineato, il senso di colpa si paleserà per l’inaspettata simpatia provata nei suoi confronti.

Questo legame sarà uno dei temi maggiormente approfonditi in The Americans. I due agenti contrapposti saranno impegnati parallelamente, mediante un susseguirsi di mirabolanti colpi di scena, nel reciproco intento di infliggere il colpo di grazia ai rispettivi governi per cui lavorano.

 

Conclusioni: 75 motivi per guardare The Americans

 

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“La gente crede a quello di cui ha bisogno di credere.”

 

The Americans può essere definito un prodotto accattivante per far potenzialmente incuriosire lo spettatore non tanto sul lavoro della spia – che comunque è brillantemente trattato – quanto sulla contorta quotidianità vissuta tra una missione e l’altra.

Le sei stagioni che compongono la serie non mostrano mai una flessione o uno stallo, che potrebbe portare chi segue le vicende a disinnamorarsi di questo pregevole racconto da 75 episodi, tutt’altro. I protagonisti e i comprimari sono ottimamente caratterizzati, arricchendo la stessa narrazione con le loro innumerevoli sfaccettature, che contraddistinguono ogni specifica personalità che impareremo a conoscere in vari momenti topici.

Ovviamente per apprezzarne la qualità, oltre che carpirne l’essenza, bisogna essere estimatori del genere, che fonda la credibilità del racconto soprattutto sui colpi di scena e sull’intreccio narrativo degli eventi.

Ogni scelta fatta da Elizabeth (Nadezda) e Philip (Misha) e non solo, all’interno di The Americans, diviene nutrimento vitale per l’attenzione del fruitore, che alimenta così l’interesse nei confronti dell’intera storia.