Kingdom, il drama horror coreano disponibile su Netflix, riesce a conquistare il cuore anche di chi non è amante del genere. Distribuito sulla piattaforma nel 2019, ad oggi conta due stagioni da sei episodi ciascuna e un lungometraggio prequel, Kingdom: Ashin of the North. Noi, ovviamente, consigliamo di vedere prima la serie per non rovinarsi alcune sorprese.
Lo show è basato sul webcomic Kingdom of the Gods scritto da Kim Eun-hee, anche sceneggiatrice della serie, dire che la storia tratta unicamente di zombie sarebbe riduttivo. Ci sono drammi, intrighi politici, scene di azione, così come momenti gore e spaventosi. Ma più di tutto, Kingdom parla delle persone. Sono loro al centro delle vicende, gli zombie sono una cornice che costringe ad adattarsi, a cambiare, a combattere contro l’invasione ma, soprattutto, contro i propri difetti.
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ToggleKingdom: di cosa parla la storia?
Kingdom è ambientato nella Corea del periodo Joseon, il Paese è devastato dalla guerra contro il Giappone e dalla carestia. Veniamo introdotti alle vicende seguendo il principe Lee Chang, a cui viene vietato dalle guardie sotto il comando della regina di visitare il padre malato. La regina, appartenente al clan Cho, è quasi al termine della sua gravidanza. Se il nuovo erede dovesse nascere maschio, erediterebbe la corona. Ma se il re dovesse morire prima, essa passerebbe al principe.
Ma il re è veramente solo malato? Circolano voci che sia in realtà morto, e che il clan Cho non voglia divulgare la notizia per non perdere potere. Come se questo non bastasse, una strana epidemia inizia a devastare villaggio dopo villaggio, e sembra avvicinarsi al palazzo reale. Il principe è deciso a scoprire la verità e prendere ciò che è suo di diritto, restando coinvolto in un intrigo che si rivela sempre più pericoloso e ricco di colpi di scena.
Dietro all’horror c’è di più
Si sa, ormai: spesso il genere horror dietro a mostri, sangue e violenza nasconde un significato di critica alla società, sfruttando creature e villain come metafore di problematiche che affliggono il mondo reale. E la Corea non resta indietro, anzi, continua a costruire il suo portfolio horror dal sottotesto sociopolitico arricchendo velocemente il panorama. Basti pensare a Train to Busan, o The Host, il film del 2006 diretto da Bong Joon-ho, non quello del 2013 basato sul romanzo di Stephenie Meyer… E ancora, al più recente La creatura di Gyeongseong, e al fenomeno mondiale che è stato Squid Game, che pur non essendo un horror classico potrebbe essere inserito al confine.
Ancor prima che la serie debuttasse sulla piattaforma, la sceneggiatrice dichiarò che voleva usare gli zombie come critica sociopolitica. “Volevo scrivere una storia che riflettesse la paura e l’ansia dei tempi moderni, ma esplorandola attraverso la lente del periodo storico Joseon”. Non bisogna dimenticare che spesso gli zombie non sono i veri mosti delle storie. Che, a volte, possono esserne le vittime. Kim Eun-hee stessa confessò che tramite i morti viventi voleva “ritrarre le persone che venivano maltrattate da coloro al potere, e in lotta con la fame e la povertà”. Aggiunse che “la fame è l’istinto umano più universale. Raffigura un vuoto nel cuore, o la fame di potere”.
Una Corea devastata da zombie
La citata guerra contro il Giappone colloca le vicende della serie approssimativamente alla fine del Cinquecento. La creatrice della storia ha detto di aver preso ispirazione dalla sua lettura degli Annali della Dinastia Joseon. Il periodo in questione durò per circa cinque secoli, dal 1392 al 1897, e secondo gli studi di Kim Eun-hee, durante questi cinquecento anni avvennero centinaia di migliaia di morti inspiegabili. Da qui, l’idea di far diventare un’epidemia zombie la causa di quelle morti e sfruttarla per esplorare tematiche sociopolitiche.
Per quale motivo Kingdom è una serie con gli zombie che piace anche a chi non è fan del genere? Probabilmente, il grosso del lavoro lo fa proprio l’ambientazione. Non capita spesso di vedere morti viventi in contesti al di fuori dal distopico post-apocalittico. La cosa più interessante è vedere come i personaggi cerchino di applicare la scienza, la logica e le armi del tempo per capire e contrastare l’epidemia.
Fame e avidità sono le protagoniste di Kingdom
I veri zombie diventano l’etichetta, le regole e le classi sociali del regno Joseon, l’ingordigia di potere a discapito del popolo, la gerarchia impossibile da scalare. È questa la vera epidemia, che non per nulla parte proprio dal palazzo reale. Il separare i corpi dei nobili da quelli dei poveri, bruciando e decapitando senza problemi gli ultimi ma impuntandosi a non “mancare di rispetto” ai primi e dare loro giusta sepoltura.
In Kingdom la società è bloccata nelle sue arcaiche convinzioni e principi morali, ma richiusa in se stessa diventa proprio lei l’epidemia che corrompe e corrode la nazione. La fame insaziabile di potere e ricchezza che non fa altro che continuare a togliere a chi già non ha più nulla, costringendo le classi più povere a mangiarsi tra figli e genitori, simbolicamente e non.
Kingdom: l’origine dell’epidemia
Mentre l’epidemia dilaga, alcuni personaggi combattono, altri prima o poi si arrendono, altri ancora la usano per acquisire ancor più potere. Nascondendosi negli anfratti delle classi sociali abbienti, ufficialmente la misteriosa piaga pare originarsi dai poveri. La carestia in primis li priva della loro l’umanità, trasformandoli in zombie dopo essersi cibati di uno di loro.
Ma, in realtà, tutto ha inizio da qualcosa a cui mai si penserebbe. Può un’epidemia che trasforma le persone in morti viventi affamati di carne umana trovare la propria origine da qualcosa che è simbolo di vita, di freschezza e bellezza? Un fiore. Che tra il suo esile stelo e i piccoli petali viola nasconde una terribile minaccia, molto più realistica di quanto si possa pensare.
Il vero parassita è l’essere umano
Se è giusto analizzare Kingdom dicendo che gli zombie e l’epidemia sono delle metafore per denunciare e criticare regole, tradizioni e comportamenti dannosi che non sono poi così distanti dal mondo reale, non sarebbe sbagliato quindi dedurre che quel vermicello bianco che causa tutto altri non è che l’essere umano stesso.
È nella natura umana desiderare sempre di più. Più potere, più ricchezze, più averi. Anche a discapito del prossimo. Siamo tutti egoisti, quel che cambia è dove ci costringiamo a mettere la linea di confine da non superare. Il nostro punto di non ritorno. Superato il quale, l’umanità cessa di esistere e diventiamo semplicemente morti viventi in grado di cibarci di chiunque altro. Il vero elemento orrorifico non sono le epidemie zombie che vanno e vengono, ma la consapevolezza che non esiste cura alla natura umana. O forse sì?